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M5s e Beppe Grillo? Quanti danni hanno fatto con la scusa dell'onestà

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 Conte e Grillo

Francesco Carella
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Tutta colpa "dell'onestà". Che il governo del nostro Paese possa dipendere da un movimento che ha trasformato quella parola in un progetto politico indica quanto grave sia stata la rottura di sistema avvenuta con il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. In quei mesi convulsi, ad opera soprattutto dei post-comunisti, si accredita l'idea secondo cui sia indispensabile, per rimettere in sintonia governanti e governati, comprimere l'autonomia della politica in nome della morale. Una forzatura i cui effetti destabilizzanti sulla democrazia italiana non si sono ancora dispiegati del tutto a giudicare dalla crisi del governo Draghi e dai comportamenti di Giuseppe Conte.

Intanto, non deve suscitare stupore il fatto che nella strategia delle alleanze del Partito democratico - il cosiddetto campo largo targato Enrico Letta - continui ad essere previsto per il M5Stelle un ruolo privilegiato. Infatti, i pentastellati non sono il prodotto di una strana concertazione degli astri, ma, come rivela il loro Dna ideologico, possono essere considerati a pieno titolo parenti stretti della sinistra comunista. Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non hanno fatto altro che aggiornare la berlingueriana "diversità morale" in uno slogan più efficace sul piano ritmico, "onestà-onestà".

ORDINE ETICO - È il 1980, quando il segretario del Pci- fallita la stagione del compromesso storico e interrotta ogni possibilità di dialogo con il Partito socialista di Bettino Craxi- inaugura una stagione politica nella cui agenda prevalgono i temi di ordine etico a discapito delle questioni politiche ed economiche.


Come spesso accade nella storia ogniqualvolta un partito cambia registro strategico favorisce, nel contempo, anche letture inedite circa le passate vicende del proprio Paese. La storia italiana da quel momento in avanti- e per il tramite di un intenso lavoro condotto per via mediatica dagli intellettuali di area - viene rappresentata, senza alcun fondamento, come una lunga ed ininterrotta catena di malaffare e di corruzione. In ragione di ciò, si assiste al ridimensionamento della politica - intesa come luogo di scontro fra interessi legittimi portati a sintesi attraverso le regole della democrazia liberale - e al contemporaneo potenziamento dell'opera dei magistrati, che, per dirla con il sociologo Alessandro Pizzorno, si trasformano in "controllori della virtù" della classe dirigente. È questo, per sommi capi, il contesto politico-culturale in cui nel corso degli ultimi decenni matura e si diffonde la convinzione che la politica sia solo una faccenda per faccendieri da contrastare a colpi di sonori quanto riduttivi "vaffa...".


Si è trattato di un colossale equivoco che ha portato in pochi anni ai vertici dello Stato un ceto impolitico a dir poco imbarazzante e sprovvisto delle conoscenze minime, per riuscire ad affrontare le complessità che il governo di un Paese presenta.

LA VIRTÙ DEL PRINCIPE - Scriveva Benedetto Croce che «un'altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa dell'onestà nella vita politica. Si tratta dell'ideale che canta nell'animo di tutti gli imbecilli. L'onestà politica - concludeva il filosofo - non è altro che la capacità politica». Siamo dalle parti della machiavelliana "virtù" del Principe. Ed è proprio quella "virtù" che oggi occorre recuperare, per cercare di chiudere definitivamente con la demagogia moralistica della sinistra e con l'analfabetismo politico dei 5 Stelle.

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