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Vittorio Feltri, chi sono le "penne rosse" ossessionate dalla Meloni: cosa dimenticano

 Vittorio Feltri

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Qualche tempo fa ho pubblicamente elogiato Massimo Giannini, direttore della Stampa di Torino, il quotidiano italiano che risulta meglio impostato e che finalmente colloca in prima pagina numerose firme femminili, che si distinguono per bravura. Mi riferivo alla tecnica giornalistica - per esempio l'impaginazione, nel caso specifico molto accurata - e non di certo ai contenuti, quasi tutti tendenti al rosso più cupo.

 

 

Una delle colleghe più capaci, che spicca non di rado in vetrina, è il vicedirettore Annalisa Cuzzocrea, la quale anche nella presente circostanza lodo perché dotata di una scrittura semplice ed efficace. Ciò detto devo aggiungere con rammarico che, al di là dello stile apprezzabile, ella spesso rovina i suoi articoli sprofondando la prosa in una serie di luoghi comuni tipici della sinistra più conformista e sovente ridicola. Il nostro mestiere non ci vieta di esprimere opinioni, perfino le più azzardate, eppure c'è un limite a tutto: conviene evitare di ripetere fino all'esasperazione le solite banalità da scagliare come sassi in faccia alle persone, specialmente se di qualche partito antipatico già sufficientemente strinato dagli avversari poiché più forte degli altri e pertanto invidiato.

Cuzzocrea giovedì si è lanciata contro Giorgia Meloni insultandola all'ultima riga con modi beceri che non avevo idea facessero parte del suo repertorio. Secondo la editorialista in questione, la leader di FdI nei suoi discorsi pronunciati in tre lingue (io conosco a malapena l'italiano e un po' di latino) avrebbe rivelato di avere un cuore e un'anima che richiamano il tetro fascismo. Annalisa ignora, o finge di ignorare, ipotesi quest' ultima più probabile, che il duce ha combinato gli stessi disastri provocati dai comunisti, di cui gli eroi di Enrico Letta sono figli legittimi, i dalla prima quali sventolano ancora e con orgoglio le bandiere con tanto di falce e martello. Recentemente è stato commemorato come un santo Berlinguer, a lungo segretario dei compagni già amici di Stalin e non di San Francesco. Evidentemente pure la vicedirettrice della Stampa nutre qualche nostalgia per colui che ha guidato il regime più sanguinario- e tollerato- della storia umana. E ciò non la autorizza ad alzare il ditino isterico contro una donna che ha solamente una colpa, quella di avere una opinione gradita alla maggioranza relativa degli italiani.

 

 

Non riporto, per rispetto, gli insulti sparati da Cuzzocrea nei riguardi di Meloni. Mi limito a rammentare alla sinistra nazionale che anni addietro, non molti, Gianfranco Fini era leader di Alleanza Nazionale, partito di destra che rimase stabilmente nella maggioranza di governo, rispettato da tutti al punto che divenne presidente della Camera senza suscitare scandalo. Anzi, quando attaccò il premier Berlusconi, egli fu portato in trionfo dai progressisti, prima di scomparire dietro le quinte. Il senso di tutto questo è agevole da identificare. Non abbondano soltanto gli uomini che mal digeriscono il successo delle donne, bensì sono copiose anche le femmine che, di fronte a una che si impone sui maschi e dispone di ottime chance di divenire il prossimo presidente del Consiglio, scatenano un odio sfrenato contro colei che è considerata rea di essere in gamba. Non provano vergogna a scrivere e pronunciare certe bischerate. 

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