Tutti dovrebbero leggerlo, dovresti scrivere così» mi ha detto una volta Tommaso Labranca e mi ha messo in mano Punto, linea, superficie di «T Wassily Kandinsky, edizione Adelphi, copertina bianca rotta da una composizione di forme e linee che galleggiavano nella carta candida. Nessun sottotitolo, nessuna presentazione. Dovevo leggerlo. E l’ho fatto e mi torna in mente mentre entro nel Museo MA*GA di Gallarate dove trovo una copia nel bookshop. Oggi chiederei il riassunto a Chat GPT? Perderei il ritmo delle frasi, il senso di urgenza, il pensiero che si specchia nella struttura e la struttura che si rispecchia nella forma. Così avviene nell’allestimento al MA*GA di Gallarate fino al 12 aprile 2026, curata da Elisabetta Barisoni ed Emma Zanella in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia. Chi non ha mai letto il libro, alla base del corso di Teoria della forma che Kandinsky teneva all’accademia del Bauhaus, cita la frase «È come un pezzo di ghiaccio entro cui brucia una fiamma» per descrivere il libro, tecnicissimo, teorico, come la sua pittura. Ma come spesso accade si cita senza conoscere il contesto, così, come ha fatto Trump con la BBC, colpevole a suo dire di aver montato capziosamente il discorso del Campidoglio, mettiamo il pittore e teorico Kandinsky alla giusta luce, soffusa dal ghiaccio, di un artista che ha creato davvero il nostro modo di vedere e di sentire il mondo, non solo quelle calamite da frigo che troviamo nel bookshop di ogni museo e che compriamo perché hanno bei colori, assieme a Mondrian.
Una traiettoria che lega Kandinsky all’Italia e un’arte, quella astratta, che ha davvero dato forma al sentire moderno, come Apple e ChatGPT. Accostando Kandinsky, Alexander Calder, Bruno Munari, non solo Zig Zag bianchi e il Concetto spaziale di Lucio Fontana, sull’anta del frigo, capiamo che non è mai solo un discorso di colori, ma di forma: dar forma all’emozione, liberare la spiritualità dell’arte, trascendendo la classicità figurativa. Nulla in Kandinsky nasce dal vuoto: il bianco non è mai solo bianco, vuoto, ma è pieno, ha una voce, così come i colori, sempre primari e le forme elementari, quadrato, triangolo, cerchio, linea. Il sistema Kandinsky è un modo per dare ordine alle percezioni e leggere il mondo. È un progressivo emanciparsi dal figurativo, lo vediamo nella serie Piccoli mondi, allontanandosi dal suprematismo russo che stava diventando estremo. Quel sentire il mondo l’ha plasmato: Calder con Gong gialli, rossi e blu trasforma la teoria di Kandinsky in un’opera cinetica. Tra i tanti italiani, oltre a Lucio Fontana superstar, ci sono due opere di Carla Accardi, uno è arancione e verde, mimetico quasi, l’altro è dei toni del blu, malinconico, notturno e moderno, come Angeli, missili + luna di Osvaldo Licini. Nata dal gruppo Forma 1, vent’anni dopo l’artista russo, ne elabora l’astrattismo rendendolo simile a una trama, simile quasi ai motivi camouflage coi quali l’ultimo Warhol ricopriva i classici nella sua ultima fase.
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L’astrattismo, teorico, puro, quasi reazionario del russo è diventato sistemico ed è entrato nel gusto comune fino ad arrivare a Calder dall’altra parte dell’oceano. Ma colpisce ancora noi oggi, dall’altra parte del secolo, cento anni dopo Zig Zag bianchi: le linee spezzate che rappresentano la tensione, la luce data dal bianco, le forme sinuose e quelle tondeggianti che rappresentano la calma la spiritualità. Mi sembra un libro sul design dei loghi e delle interfacce, cose lontanissime da Kandinsky, ma che ogni giorno ci riempiono gli occhi. Questo è il motivo per il quale andrebbe studiato ancora oggi nei corsi ci comunicazione, di design, o d’informatica, ma fin all’asilo, per capire come forma e colore sono legati sin dall’infanzia e al gioco, come teorizzava Bruno Munari, che Kandinsky l’aveva negli occhi. Dall’anima nella forma, alla forma che crea la realtà: è ancora il fuoco, la fiamma vista attraverso il ghiaccio come pensava Kandinsky.




