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Il Paradiso comunista? A casa Obama

Il 60% dei cinesi più facoltosi dichiara di stare per trasferirsi negli Stati Uniti. E' una moda consolidata: i vertici studiano all'estero

Giulio Bucchi
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La terra promessa dei comunisti cinesi? Gli Stati Uniti, di preferenza, ma va bene anche l'Occidente in generale. Un sondaggio di tre mesi fa tra i 960 mila cinesi più facoltosi, quelli con un patrimonio oltre 10 milioni di yuan (1,6 milioni di dollari Usa) ha indicato che il 60% sta già preparandosi attivamente a traslocare, o sta seriamente pensando di farlo. E' il destino del comunismo di rendere sempre sommamente ingrati tutti i suoi sudditi. Se sono poveri e schiavizzati, come lo erano sotto Stalin e Mao ( o come sono ora in Corea del Nord o a Cuba) se lo scordano di potersene andare legalmente: odiano i comunisti e se riescono a lasciare il “paradiso socialista” è perché scappano. Ma anche nella versione dei comunisti cinesi “liberalizzati” dalle riforme di Deng Xiao Ping, il successore di Mao che ha avviato la Cina a dove è oggi, un rampante “comunismo capitalista”,  il rigetto del sistema permane. Solo prende altre forme, di elite, per chi se le può permettere. E infatti la moda pro Ovest non risparmia i circoli del potere più alto. Quando, in novembre 2012, la leadership suprema del partito passerà da Hu Jintao a Xi Jinping, il vicepresidente già designato, per assistere alla sua incoronazione la figlia dovrà prendere una vacanza da Harvard, dove sta studiando, e la sorella rientrare dal Canada. La sua ex moglie difficilmente ci sarà, ma anche perché da tempo è emigrata in Gran Bretagna. Le richieste di visti di ingresso per residenti permanenti hanno avuto di recente una impennata dalla Cina sia verso gli Usa sia verso il Canada. Nel 2011, i cinesi che hanno fatto domanda per il visto EB5 sono stati 2969, contro i 787 di due anni prima. Per ottenere la carta verde con questo programma bisogna investire un milione di dollari negli Usa per creare una azienda che dia almeno 10 posti di lavoro americani, o 500mila dollari per impiantare una impresa in zone rurali. In Canada, per un simile visto di immigrazione non temporanea, i richiedenti sono balzati dai 383 del 2009 ai 2567 dell'anno passato. Alla base dell'esodo dei privilegiati che possono scegliere l'Occidente c'è la scoperta, per un numero crescente di cinesi ricchi, che gli yuan non possono comprare tutto in patria. Nei paesi capitalisti e democratici, oltre alla piena libertà, c'è aria più pulita, più cultura, migliore qualità della vita, ottimi ospedali e incomparabili università che attirano tutti i giovani, anche i rampolli dei membri del comitato centrale. E ci sono anche le Ferrari e le Mercedes che i paperoni rossi già possiedono a Pechino, se ne avessero la nostalgia quando si trasferiscono a Boston o New York. Questa non è propaganda anticinese. Basta leggere l'articolo del Wall Street Journal dedicato all'esodo in cui è citata questa dichiarazione illuminante, e onesta, di una economista del Centro Ufficiale di informazione statale, Zhang Monan, apparsa sul giornale governativo China Daily: “Senza dubbio, il costo della vita che va alle stelle, l'ambiente in peggioramento, il welfare sociale  misero e i crescenti fardelli fiscali sono parzialmente responsabili per queste perdite. E' naturale per la gente scegliere un posto dove vivere in cui pensano che miglioreranno la qualità della loro vita. Solo rendendo il paese più attraente per i suoi talenti la Cina può trattenere loro e la loro ricchezza e non farli andare via”. Giù il cappello per l'analisi, e ci pare sia anche una bella lezione per l'Italia…. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi  

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