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Espirito Santo, il tonfo della banca portoghese fa tremare le Borse europee

Andrea Tempestini
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Dove sarò fra tre anni? Amici, proprio non lo so ...». Cristiano Ronaldo si diverte un mondo: prima avvinghiato ad una valchiria tutta curve su una pista di sci. Poi ai Tropici, stessa scena ma con una creola mozzafiato. Poi il pallone d'oro si fa serio: «Ma se mi chiedete dove saranno i miei quattrini non ho dubbi- sillaba - Saranno al Bes», che sta per Banco de Espirito Santo. Speriamo per lui che l'asso del Real Madrid, da quasi dieci anni testimonial della banca in tv e sui manifesti, abbia detto una bugia. Altrimenti, il suo sarà davvero un luglio maledetto: dopo la scoppola ai Mondiali, una serie di sberle ben più dolorose. Ieri, infatti, il titolo dell'ex gioiello della dinastia dei Salgado Espirito Santo, ha perduto in Borsa un altro 15 per cento, che si aggiunge al 7,5 per cento sfumato lunedì sull'onda del tracollo (-25 per cento) scatenato alla notizia che una controllata della galassia Espirito Santo, un istituto che da solo rappresenta la metà del valore della Borsa lusitana, non aveva i soldi per far fronte ad un buco di 7 miliardi maturato in Lussemburgo. Già, il crollo che sta mettendo in ginocchio il Portogallo, già stremato da anni di sacrifici imposto dalla Troika di Bruxelles, ha le sue origini nel Granducato, discreto Paradiso fiscale su cui avrebbe dovuto vigilare Jean-Claude Juncker, da una vita ministro delle Finanze, ma da ieri numero uno dell'Unione Europa. Anche per questo la disfatta del Banco lusitano, che potrebbe costringere il governo a sacrificare per il salvataggio dell'istituto metà del tesoretto (12 miliardi circa) risparmiato negli anni dell'austerità ha un sapore ancora più amaro. E non solo per i contribuenti del Portogallo: la crisi di Espirito Santo, infatti, getta una luce sinistra sullo stato di salute del sistema finanziario del Vecchio Continente, in momento assai delicato, quando si profilano gli stress test della Banca Centrale che promettono di esser assai rigidi, soprattutto con il sud Europa. Qui, a differenza che in occasione della crisi di Cipro, non si ha da fare con una banda di avventurieri russi in odore di mafia o con raider dell'ultim'ora ma con la crema del business più consolidato: gli Espirito Santo sono in affari dal 1869, hanno saputo resuscitare, grazie alle loro aderenze, nel 1992 quando hanno potuto ricomprare la banca, già nazionalizzata per lo stretto legame tra il vecchio Ricardo ed il dittatore Salazar che gli aveva dato licenza di crescere ed arricchirsi in Angola e Mozambico. Da allora un altro Ricardo, il nipotino prediletto,aveva saputo inserirsi negli ambienti più esclusivi. È a lui che si rivolgono le Generali, anni Novanta, per metter su bottega a Lisbona mentre l'Exor dell'Avvocato Agnelli, all'epoca un'altra scatola lussemburghese, arriva a controllare fino all'8 per cento dell'arcipelago Espirito Santo, in una sorta di alleanza tra le famiglie che contano, dall'Aga Khan ai Mentzelopoulos, i proprietari della Perrier. Presto il gruppo Agnelli si allontanerà, complice la crisi, da questo salotto vip. E gli Espirito Santo daranno vita ad architetture sempre più complicate per custodire il loro impero, che spazia dal turismo all'agricoltura fino alla finanza. Un labirinto in cui è stato facile nascondere un buco che risale al 2008, l'anno di Lehman: allora gli Espirito Santo riuscirono a mascherare la perdita (1,3 miliardi) che però è cresciuta in questi anni fino a 7 miliardi. Che c'entra la banca? In teoria niente. In pratica è facile pensare che gli Espirito Santo, oggi estromessi da Pedro Coelho, il premier furibondo che vuol fare piazza pulita, abbiano usato i depositi dei clienti per coprire il buco. E a mano a mano che passano i giorni, il sospetto cresce. Così come la rabbia dei cittadini lusitani, piegati da anni di fame in nome del risanamento finanziario e dell'austerità. Il buco, prima o poi, verrà colmato. Ma la ferita è destinata a restare un bel po'. di Ugo Bertone

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