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Pensioni, il piano di Matteo Renzi per tassare quelle delle vedove al 20%

Andrea Tempestini
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Un taglietto alle pensioni delle vedove, degli orfani e dei congiunti? Nella stagione del welfare con il machete si pesca dove si può. Ma non si dovrebbe. E allora anche i circa 30 miliardi l'anno che l'Inps e le Casse previdenziali girano a vedove, orfani, e superstiti sotto la voce “assegno di reversibilità” fanno gola. E poco importa se quella reversibilità è frutto di tanti, tanti versamenti e se il taglio c'è già (l'Inps applica una decurtazione del 60% sull'assegno pieno), e se anche la riforma Dini, nel 1995 aveva inserito una mannaia per agganciare il reddito del defunto a quello del coniuge sopravvissuto. La riforma Dini ha infatti inserito una penalizzazione connessa al reddito di chi resta: se il congiunto sopravvissuto ha un reddito superiore di tre volte il minimo (1.382 euro al mese), subisce una penalizzazione del 25%. Ma il taglio può arrivare al 50% per redditi superiori a 2.304 euro al mese (5 volte il minimo). L'idea che è cominciata a circolare al ministero dell'Economia è di mettere mano anche a questo capitolo di spesa e i primi studi, connessi con gli andamenti e le aspettative di vita future, fanno ipotizzare «risparmi importanti». Prima di sbarcare a Palazzo Chigi Matteo Renzi - ancora sindaco di Firenze - era inciampato in un gaffe (in diretta tv) proprio sulla volontà di mettere mano alle pensioni delle vedove e dei superstiti. Posizione subito corretta con «un non avete capito, volevo dire...». Ora però che si avvicina la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, Def (il 20 settembre), e che i tempi per la legge di Stabilità si accorciano (15 ottobre), si è andato a ripescare il famoso dossier Cottarelli (spending review), per ipotizzare proprio dove andare a grattare qualcosa. Cottarelli, ad aprile, aveva ipotizzato una rimodulazione delle pensioni di reversibilità più spinta di quanto non fatto da Dini. I risparmi ipotizzati (su 30 miliardi complessivi), sarebbero stati secondo l'ex economista del Fondo monetario «nell'ordine di 100 milioni», insomma poca cosa. Ma un pessimo segnale. Il problema, semmai, non è tanto nell'immediato, quanto in previsione sui costi futuri. Le donne hanno oggi (2014/2015), un'aspettativa di vita di 83/84 anni, gli uomini si fermano a 78/79. Però - e il Rapporto sulla previdenza 2014 di Alberto Brambilla è illuminante - nei prossimi decenni l'aspettativa per uomini e donne crescerà di un abbondante 25%. Il che vuol dire che le donne potranno campare mediamente fino a 92 anni e gli uomini almeno fino 86. Una diminuzione della mortalità e una migliore qualità della vita (e delle cure), che però fa saltare i freddi calcoli pensionistici. Non basta agganciare l'attività lavorativa alle aspettative di vita (si va in pensione più tardi proprio per effetto di questi calcoli), ma si sopravvive anche più di quanto era stato attuarialmente stimato. Morale: i conti malmessi della previdenza (una spesa di 260 miliardi l'anno) non reggono, e per questo si immaginano tagli e taglietti, aggiornamenti e nuovi parametri. L'ultima idea che sembra circolare è quella di agganciare anche le pensioni di reversibilità - che il coniuge prematuramente dipartito si è mediamente sudato fino all'ultimo contributo - alla ricchezza del soggetto, non solo al reddito da pensione che percepisce (welfare sul modello tedesco, ironia della sorte). Insomma, la reversibilità piena si ottiene solo se non si hanno case intestate, rendite (magari la liquidazione investita in Bot), o altre ricchezze tracciabili. Il capitolo reversibilità lo aveva già aperto il governo Monti nel 2011 che mise un limite alla reversibilità per i congiunti con una differenza di età di oltre 20 anni e una durata del legame inferiore ai 10. Ma una cosa è sventare le truffe, ben altra riformulare i calcoli e le percentuali a seconda delle magre disponibilità finanziarie. Anche perché toccare gli assegni di reversibilità vuol dire mettere le mani in tasca a 3,8 milioni di superstiti (coniugi, figli o altri eredi legali). A dirla tutta a Montecitorio c'è chi da tempo vuole superare la Tabella Dini. Intento meritorio se non fosse per un dettaglio. In commissione Lavoro della Camera si ragiona (dal 2013) intorno ad una proposta di legge sulla cumulabilità dei trattamenti pensionistici di reversibilità (n. 168), che però all'articolo 2, comma 1, recita: «I trattamenti pensionistici in favore dei superstiti delle forme pensionistiche obbligatorie sono soggetti a un'imposta sostitutiva pari al 20 per cento». Il 20% di 30 miliardi fa 6... di Antonio Castro

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