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Manca la relazione tecnica da inviare al Colle: manovra ancora nel caos

Matteo Legnani
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Alle otto di sera, mentre Matteo Renzi stava registrando la puntata di Otto e mezzo con Lilli Gruber, arriva in Trasatlantico il sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti. «Scusi, ha il testo definitivo della manovra con le coperture della relazione tecnica?». Lui trafelato scorre rapidamente il suo telefonino: «Ecco, tutti i messaggi... Qui ho i titoli, qui ho l'ultima bozza, qui ho la copertina... no, la relazione tecnica non c'è...». Insomma, nemmeno il numero due del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che è pure segretario di Scelta civica, partito di maggioranza, aveva in mano una versione attendibile della legge di stabilità 2016 a 6 giorni dall'approvazione del consiglio dei ministri. Eppure martedì era stato proprio Renzi ad annunciare su Facebook: «Domani la legge di stabilità sarà in Parlamento». Possibile che anche in questa occasione il premier l'abbia sparacchiata come fanno con la loro merce i venditori al mercato? Proviamo ad ipotizzare con lo staff del premier: «Non è che a Renzi sarà saltato “un” in quell'annuncio, e quindi la versione corretta sarebbe «”un domani la legge di stabilità arriverà in Parlamento?”». Riceviamo in risposta un emoticon, con faccino sorridente. E in effetti l'atto di politica economica più rilevante di un esecutivo nonostante un contenuto che dovrebbe essere assai serio, sta assumendo tutti i contorni di una barzelletta. Dieci testi diversi in sei giorni, in ogni versione qualche novità che manco era stata discussa in consiglio dei ministri. I poverelli come il ministro Graziano Delrio che si immolano dopo l'approvazione della legge di stabilità per difendere proprio nella trasmissione di Lilli Gruber la scelta di togliere la tassa sulla prima casa anche su ville, castelli e abitazioni di lusso: «Sono poco rilevanti, ed è più importante prendere una stessa decisione per tutti, favorendo la semplificazione fiscale». Poi Renzi che ci ripensa dando l'impressione di temere il tormentone “favorisce i ricchi più dei poveri”, lanciato da Pierluigi Bersani e cantato fin dalla prima ora dalla minoranza Pd. Grande confusione e pioggia di ironia su un metodo di governo piuttosto alla carlona. Assai diffuso lo scetticismo, che arriva addirittura ai massimi livelli. Il giorno prima incontrando i vertici parlamentari del Movimento 5 stelle il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, li ha sentiti polemizzare sui contenuti della manovra economica, e con un sorriso li ha subito fermati: «Perchè voi avete visto il testo? Siete fortunati...». Eppure quel che manca a quel testo è piuttosto rilevante: il sistema delle coperture. È da quello che dipende la fragilità o la solidità delle misure adottate. È importante vedere ad esempio quale copertura garantisca l'abolizione di Imu e Tasi sulle prime case. Perchè se verrà fatta in deficit, non ci sarà garanzia alcuna sull'abolizione delle norme negli anni successivi. E visto che gli italiani hanno vissuto almeno dieci giravolte su quella tassa negli ultimi anni, sarebbe matematico che tengano in tasca il risparmio eventualmente ottenuto, con il timore che la mano sinistra si riprenda magari l'anno successivo quel che la destra concede oggi. «Non conosco le coperture», ammette il sottosegretario Zanetti, «però ho visto oggi il Ragioniere generale dello Stato che le stava vagliando in una riunione e mi è sembrato sereno. Altre volte l'ho visto quasi disperato per la confusione che regnava sovrana. Ora no». Un po' poco per tranquillizzare. Ieri le agenzie stavano ancora sfornando piccole novità tratte da bozze nuovamente aggiornate, ma chissà se saranno quelle reali e definitive. Nell'impossibilità di mettere punti fermi, ancora una volta bisogna fermarsi al diluvio di parole. Tanto più che ieri ancora una volta sono uscite dalla bocca del gran parolaio, il presidente del Consiglio. Che ha lanciato dalla Gruber un gran fuoco di artificio, paragonandosi al leader di Forza Italia: «La dico alla Berlusconi», è esploso Renzi, «meno tasse per tutti. Solo che lui ha fatto lo slogan e poi se ne è andato, noi lo facciamo davvero». E per fare capire che non scherza come leader di centrodestra, subito ha fatto la faccia del duro su un punto della manovra fra i più contestati a sinistra, quello sul tetto del contante a 3 mila euro: «Non si cambia e siamo pronti anche a mettere la fiducia». Visto che ormai nella commedia dell'arte in cui sta andando in scena la legge di stabilità, Renzi aveva ormai vestito il costume dei veri duri, le ha cantate anche ad altri. Innanzitutto a Mario Monti che aveva definito “elettorale” l'impianto della sua manovra: «Stiamo parlando dello stesso Monti che ha fatto una manovra in deficit al 4%, mentre noi la facciamo al 2,2%?». Poi, ringhio verso l'Unione Europea (tanto la Germania custode del rigore è kaputt per la Volkswagen e non è in grado di reagire): «Se Bruxelles boccia la manovra gliela rimandiamo tale e quale». di Franco Bechis

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