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Natuzzi: "Hanno usato i miei cassintegrati per fare i divani della Ferilli"

Sabrina Ferilli

L'accusa choc di Natuzzi, patron della "Divani & Divani" in crisi

Andrea Tempestini
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Mettetevi comodi sul divano. Perché la storia della crisi Natuzzi, il creatore di Divani & Divani, è stupefacente, oltre che scandalosa. A prima vista, il tracollo dell'azienda di Sant'Eramo al Colle, ancorché assai grave, non è molto diverso dai tanti altri esplosi sotto i cieli della recessione: domanda in calo, concorrenza dei produttori a basso prezzo, favoriti da un costo del lavoro più basso, le difficoltà legate alla logistica e alla burocrazia  che rendono difficile fare impresa al Sud, anche nel distretto del divano delle Murge, già isola di cultura industriale.  Ma la denuncia di Pasquale Natuzzi, 73 anni, che ha annunciato un piano che prevede 1.726 esuberi «per salvaguardare oltre tremila addetti tra dipendenti diretti e indotto», pone interrogativi inediti ed inquietanti. L'imprenditore accusa di esser stato messo in ginocchio da un «distretto fotocopia». Ovvero, proprio dietro l'anolo degli stabilimenti Natuzzi, tra Matera, Ginosa e Laterza, sono sorte in sottoscala, cantine e capannoni sparsi qua e là  aziende che producevano gli stessi divani. Cosa non difficile, visto che a realizzare i passaggi più complessi, che richiedono manodopera specializzata,   erano gli stessi lavoratori in cassa integrazione da aziende in crisi che, «messo il personale in cassa si sono affidate a una sorta di terziario» utilizzando manodopera a bassissimo costo: almeno duemila cinesi, alle dipendenze di altri  cinesi che aprono e chiudono botteghe ogni 13-14 mesi. Fin qui la produzione. Perché quei divani, accusa Natuzzi, sono stati poi venduti da aziende ben note: «Calia, Chateau d'Ax, Nicoletti, Poltrone e Sofa». Imprese che si sono trasformate nel tempo in marchi commerciali: pochi dipendenti, tanto marketing, grandi investimenti in testimonial pubblicitari di grido (chi non ricorda Sabrina Ferilli e il suo «Beato chi s'o fa, il sofà»?).  E tanto per rincarare la dose, l'industriale tira in ballo il presidente del distretto, Tito Maggio. «Lui ha dichiarato ufficialmente di produrre al costo industriale di 25 centesimi al minuto. Ma come fa se il costo di un'azienda in regola come la mia è di 92 centesimi!».  Fin qui le accuse che, naturalmente, vanno provate. Ma il caso è troppo grave per non essere  denunciato. O Natuzzi mente, allora aspettiamo querele e denunce per diffamazione. Oppure si è di fronte a un attacco alla diligenza del denaro pubblico che merita il plotone. Anche per quei dirigenti sindacali che hanno avallato  il suicidio di posti sani (da 20 mila a poco più di 5 mila)  per favorire il lavoro nero. Il tutto nonostante robusti incentivi e piani di settore finanziati del denaro pubblico. Come reagisce il  sindacato?  Per ora, il sindacato dopo aver definito «vergognoso» l'atteggiamento di Natuzzi (fino a pochi anni fa trattato da Adriano Olivetti del Mezzogiorno) chiede , per bocca di Fiorenzo Gallo, segretario pugliese della Filca-Cisl,  «un nuovo piano industriale» che, tra l'altro, preveda «un distretto della casa, del green habitat, che superi l'idea del salotto  vero e proprio». Il tutto, naturalmente, finanziato dalle risorse dell'accordo di programma sottoscritto nelle scorse settimane. Insomma, la colpa è di Natuzzi che si è limitato a produrre divani e poltrone invece che innovare nel «green habitat». Nemmeno una parola, però, sull'accusa di abuso della cassa integrazione che tira in ballo responsabilità diffuse  che  vanno certamente al di là  del sindacato. Per carità.  Si può comprendere l'indulgenza per il singolo lavorare in cassa che arrotonda lo stipendio con un secondo lavoro. Ma un operaio della Fiat in Cig che si mette al lavoro per farsi concorrenza producendo una Panda tarocca a metà prezzo è addirittura surreale.  E che dire del magistrato del lavoro che ha costretto Natuzzi a riassumere due operai  in cassa integrazione scoperti dalla Guardia di Finanza mentre  lavoravano in un'altra azienda? Questa è la «politica industriale» di cui hanno tanta nostalgia certi sindacati, le burocrazie ministeriali e i magistrati che vogliono sostituirsi agli imprenditori in nome di «nuovi modelli di  sviluppo» dove si discetta, in convegni presso località balneari (pagati dalla Regione) di green habitat   e di superamento del salotto. Sembra un film comico di quarta serie. Speriamo che Sabrina Ferilli, così bella e dolente ne «La grande bellezza», decida di uscire dal cast. di Ugo Bertone

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