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Matteo Zoppas, parla a Libero il capo di Confindustria Veneto: "Il governo aiuti subito le imprese, sennò addio lavoro"

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Gino Coala
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«Molte aziende falliranno per colpa di queste nuove regole sul lavoro». Era stato di Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto, il commento più sferzante sul decreto dignità sfornato da Di Maio. «Forse nel breve termine il decreto potrà portare altro consenso al governo. Temo però che, con il passare del tempo, i cittadini si renderanno conto dei suoi effetti, mano a mano che le aziende salteranno per aria e molti perderanno il lavoro». Alla ripresa dell' attività dopo la pausa ferragostana, l' erede di una delle famiglie imprenditoriali più importanti del Triveneto tende la mano al governo dalla terra dei capannoni, governata da un solido monocolore leghista e feudo del Carroccio fin dalle origini. «È inutile illudersi di essere usciti dalla crisi» spiega. «Una ripresa dell' 1,2%, ma anche fosse l' 1,5, non è gran cosa e non risolve i problemi. L' economia oggi è a due velocità, con aziende in ripresa ma settori, come l' edile, l' elettrodomestico e i mobili, ancora in affanno. C' è chi ha perso anche il 40% del mercato da inizio crisi. Adesso non c' è più tempo da perdere, in autunno con questa Finanziaria il governo si gioca tantissimo. Noi imprenditori siamo qui, pronti al dialogo, vorremmo essere ascoltati, non ignorati, come con il decreto dignità, che è stata una pessima partenza. Ci saremmo aspettati più interazione». Cosa chiede da imprenditore all' esecutivo? «Un cambio di atteggiamento politico. Le imprese devono essere trattate non come il nemico ma come il motore dell' economia: senza di noi non c' è sviluppo e quindi non c' è lavoro. Ci serve una manovra che dia un vantaggio reale all' economia per poter essere competitivi con gli altri Paesi. Questa è la sola via per sopravvivere, invece sento discorsi fermi a trent' anni fa». Nello specifico cosa vuole? «Una visione economica di almeno 5-10 anni, con una strategia che non contrapponga lavoratori ad aziende ma agevoli le imprese in quanto generatrici di occupazione. Invece finora mi pare che, per ragioni di consenso, parte del governo spinga sul concetto che le imprese vanno trattate con diffidenza per far funzionare le cose». Denuncia un ritorno del sindacalismo, in versione M5S? «Non cado nella trappola della polemica sindacale, voglio riportare il confronto sul piano dell' equazione indiscutibile per cui più economia significa più lavoro». Gli imprenditori scenderanno in piazza, come minacciato dal presidente di Confindustria, o è stata solo una boutade? «La frase è seguita all' approvazione del decreto dignità, che ci ha preoccupato molto. Noi abbiamo un approccio dialogante e siamo in attesa delle prossime mosse del governo: vogliamo costruire insieme strategie di sviluppo economico e occupazionale. Se non cambia l' atteggiamento aggressivo verso le imprese, allora molti potrebbero davvero scendere in piazza, è una tentazione diffusa tra gli imprenditori». Nel concreto cos' ha di così sbagliato il decreto dignità per voi imprenditori? «Nell' immediato rende un ridotto numero di posti di lavoro più garantiti ma in realtà, aumentando i costi, diminuisce la domanda media ed eleva i costi, quindi avrà un effetto boomerang. Pensi poi al raddoppio della penale in caso di licenziamento senza giusta causa e all' obbligo di introdurre una causale per motivare i rinnovi a tempo: il primo è un deterrente alle assunzioni, la seconda ingessa le aziende e crea pesanti extracosti. Molte variabili economiche celeranno le reali cause dei decessi "per dignità" di alcune aziende ancora in difficoltà, lasciando l' immagine positiva del decreto e oscurandone le conseguenze negative». Non pensa che gli imprenditori abbiano abusato del Jobs Act, una misura emergenziale diventata l' unica via attraverso la quale le imprese assumevano? «Le rigiro la domanda: se non ci fosse stato il Jobs Act, sul quale ero inizialmente scettico, quanta gente non avrebbe mai avuto un contratto di lavoro? Ha contribuito ad avviare quel minimo di ripresa che abbiamo e ha dato risultati. È un provvedimento che ha avuto un impatto positivo sull' economia reale, non chiacchiere, perché cambiarlo? Perché fermare una palla che rotola se sai che poi farle riprendere la corsa potrebbe costare il doppio?». Di Maio sostiene che il reddito di cittadinanza servirà a portare i disoccupati al lavoro: ci crede? «Dipende cosa si intende per lavoro. Se si pensa a competitività e riconoscimento del merito, il reddito di cittadinanza è una misura sbagliata. Se invece ci si vuole rinchiudere in un guscio con posti garantiti e sottopagati a prescindere dai singoli talenti, è la strada giusta. Ma per creare una società di assistiti in declino, non per risollevare il Paese con modalità che garantirebbero meno precarietà. Una politica industriale non può basarsi sul garantismo a prescindere, perché esso è garanzia solo di declino». Almeno della flat tax, l' aliquota fiscale unica, sarà contento? «Ho l' impressione che, a causa della composizione eterogenea della maggioranza e dei lavori in corso nei vari schieramenti, la campagna elettorale non sia ancora terminata. Si pensa solo all' impatto mediatico, tutto va avanti ragionando in termini di consenso immediato, senza curarsi delle necessità dell' economia reale. Continuiamo a scaldare i motori ma è giunto il momento di uscire dal parcheggio». Non la convince la composizione della maggioranza? «È eterogenea, ma è stata fatta di necessità virtù». Torniamo alla flat tax: non la vuole? «Vorrei prima capire che cos' è, attualmente mi pare un concetto troppo ampio e un po' superficiale. Se riduzione dell' aliquota fiscale significa mettere al centro del dibattito la ripresa e portare vantaggi all' economia, mi sta bene. Se invece significa abbassare le tasse sui redditi recuperando i soldi con qualche altro balzello, sarebbe solo un inutile gioco delle tre carte. Ragiono da imprenditore: se uno ha un' imposizione fiscale reale anche del 75%, la flat tax di quanto gliela abbassa?». Avverto diffidenza «Faccio i conti della serva. Se diminuiscono le entrate, devono diminuire anche le uscite. I margini per un risparmio della spesa pubblica ci sono ma non sento nessuno che ne parla. Al contrario, vedo solo progetti di aumento delle spese: tanti proclami, più costi e nessun ricavo. Un governo che ha una netta maggioranza e gode di approvazione popolare può affrontare e risolvere le reali priorità del Paese - indiviudate da analisi accurate a disposizione di chi è al timone - senza inseguire a tutti i costi altro consenso». È contrario all' aumento del rapporto tra debito pubblico e Pil, con sforatura dei parametri Ue, per far ripartire l' economia? «Dipende da come aumenti il debito: se lo fai in modo virtuoso, per un piano di super investimenti in opere pubbliche essenziali, ci può stare. Ma se lo fai per tagliare le tasse puntando solo sui maggiori consumi e senza tagliare anche le spese, ti prendi un rischio enorme». Ma in che modo un aumento del debito la danneggerebbe come imprenditore? «Chi crede che paghi gli interessi sui titoli di Stato? Noi italiani, con le tasse e la diminuzione dei servizi: l' aumento del debito danneggia tutti, non solo gli italiani». Teme l' attacco dei mercati? «Sono quasi certo che arriverà. I mercati non guardano ai proclami ma all' economia. Speriamo che vicende come l' Ilva si risolvano al più presto e bene, altrimenti rischiamo di perdere la faccia e nessuno verrà più a investire in Italia. Siamo sotto i riflettori di tutto il mondo per l' acciaio: Di Maio sa che per attrarre capitali servono serietà e affidabilità». Traccia uno scenario fosco «La via d' uscita è il marchio made in Italy, a cui aggrapparci. È una garanzia di qualità che ci permette di applicare un sovrapprezzo su tutto e sopravvivere. Se il governo ci diminuisse i costi di produzione indotti dal sistema Paese, decolleremmo. Altrimenti tocca stringere la cinghia, ovverosia tagliare su marketing, innovazione e ricerca, che sono però quel che ti fa vendere». Si aspettava il boom dell' America di Trump? «Sì, perché lui ha fatto provvedimenti tutti incentrati sull' economia reale: taglio delle tasse e investimenti pubblici». di Pietro Senaldi

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