Giovanni Tria, la rivincita del ministro: perché non è un fesso
E se avesse sempre avuto ragione lui? La sera dei famosi festeggiamenti dei pentastellati dal balcone di Palazzo Chigi, a fine settembre, Giovanni Tria era uscito dal Consiglio dei ministri con le ossa rotte e la reputazione sotto i piedi. Il ministro dell' Economia si era presentato al vertice di governo con un accordo già mezzo fatto con la Ue per un deficit all' 1,6% e una disponibilità a salire al massimo fino al 2%. Più in là, aveva detto il professore, non si può andare. A tarda notte, però, se n' era tornato a casa, sgattaiolando via tra i cori e le bandiere grilline, con l' asticella del rapporto tra indebitamento e Pil schizzata fino al 2,4%. Una soglia che il ministro non aveva mai neanche preso in considerazione, proprio nella convinzione che le liti con l' Europa e il conseguente aumento dello spread avrebbero bruciato in poco tempo le risorse guadagnate sul fronte del deficit. Leggi anche: "Tria verso le dimissioni, forse già entro dicembre". Bomba del Corsera Altro che fesso. Aveva visto lungo. Il governo ha perso due mesi a duellare con Bruxelles, alimentando tempeste finanziare, provocando miliardi di perdite potenziali sui mercati e buttando più quattrini del dovuto sul collocamento dei titoli di Stato, per trovarsi al punto di partenza: rifare i conti della manovra per far uscire i saldi su deficit e debito che aveva proposto Tria. Certo, il ministro non è un campione di carisma e savoir faire. Anche ieri, durante il vertice Ecofin di Bruxelles, se n' è uscito con un «io preferirei che nel 2019 l' economia non andasse in recessione», che non è proprio una botta di entusiasmo. E neanche una conferma alla tesi fin qui sostenuta, anche nero su bianco nel documento programmatico di bilancio, che la crescita del prossimo anno arriverà all' 1,5%. Ma ora Tria ha un piglio diverso. Dopo aver di fatto ripreso in mano la trattativa, insieme al premier Giuseppe Conte, e portato a casa la disponibilità della commissione Ue (oltre al commissario Pierre Moscovici e al presidente Jean Claude Juncker è riuscito ad addolcire anche un falco come Valdis Dombrovskis) a trovare un compromesso su una soglia di deficit che consenta ad entrambi i contendenti di uscire dal confronto a testa alta, ieri da Bruxelles il ministro si è persino permesso di dare una strigliata ai due vicepremier, spiegando che «tutte le opzioni sono sul tavolo e ci sono varie possibilità», ma per andare avanti «serve una decisione politica». GIORNI SPRECATI - Come dire che lui il suo lavoro lo ha fatto, ma se Matteo Salvini e Luigi Di Maio non riescono a trovare un accordo sulle modifiche, la procedura d' infrazione arriverà dritta come un fuso sul groppone dell' Italia. Anzi, Tria ha anche lasciato intendere che troppi giorni sono già stati sprecati a caccia di questa benedetta quadra. «Esistono dei termini ben precisi a livello procedurale e i tempi sono stretti», ha spiegato il titolare dell' Economia. Il quale, non pago, appena finito il vertice Ue si è infilato su un aereo, è tornato a Roma e si è presentato davanti alla commissione di Bilancio della Camera per tentare di spiegare che il lavoro di questi giorni sulla manovra non è una specie di burla, una recita su un copione finto. Il dubbio, in effetti, è venuto a molti. Soprattutto dopo le ripetute ammissioni di premier e vicepremier sulla necessità di modificare la manovra. Che senso ha accapigliarsi su un testo che non è quello definitivo? MISURE AGGIUNTIVE - Il ministro, rintuzzando le critiche delle opposizioni («sono qui per un' informativa, non per un' audizione. Se non siete d' accordo me lo dite e io, non vi offendete, me ne vado»), ha ribadito che le due misure simbolo, il reddito di cittadinanza e quota 100, non si toccano perché sono «priorità politiche». Ed è proprio su questo punto che ruota il negoziato con l' Europa. Insomma, l' impianto della manovra non sarà stravolto. Questo non significa, però, che dai due principali interventi non potranno arrivare spazi di manovra. «Sono in atto simulazioni per capire se occorrono meno risorse», ha detto Tria. Ma gli assi nella manica dell' economista sono più di uno. Si va dalla richiesta di clausole di flessibilità alla Ue allo studio di misure aggiuntive, che potrebbero riguardare anche le privatizzazioni. Nel Dpb, ha spiegato, «abbiamo già aumentato la previsione relativa a possibili dismissioni di asset per dare una garanzia di discesa del debito e forse in quell' ambito è possibile fare ancora qualcosa». Una mano ai conti, paradossalmente, arriverà anche dal disgelo con la Ue. Il rallentamento dell' economia, ha ammesso Tria, «sta avvenendo più forte di quello che aspettavamo, anche per il rallentamento della stessa Germania e per l' aumento dello spread, un convitato di pietra». In questo scenario, «andare a un accordo con la Commissione europea creerà un raffreddamento dello spread e maggiore calma sui mercati». E questo, ha lasciato intendere, comporterà anche il miglioramento del quadro macroeconomico. Al termine della giornata, la sensazione è che Tria e Conte stiano solo aspettando il via libera "politico" di Salvini e Di Maio. Un via libera che, malgrado gli annunci e il tempo che passa, ancora non arriva. di Sandro Iacometti