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L'euro e il tasso di cambio drogato, così la Germania si è arricchita a spese nostre

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Cristina Agostini
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Se c'è un Paese che si è avvantaggiato dall'euro questo è la Germania. Basta un dato a confermare questa ricostruzione: l'andamento della bilancia commerciale tedesca, cioè la differenza tra esportazioni e importazioni. A partire dall'adozione dell'euro, questa differenza esplode a favore della Germania. Dopo dieci anni consecutivi in deficit nel 2002 la bilancia commerciale torna in territorio positivo all'1,9% del Pil. Da allora non c'è stato anno nel quale la Germania abbia frenato la sua corsa alla conquista dei mercati mondiali. Locomotiva tedesca - L'economia tedesca da sempre è fortemente orientata all' export. E da sempre registra saldi positivi negli scambi con l'estero. Tuttavia, con l'introduzione dell'euro, quella che era una situazione fisiologica è diventata patologica. Prima del varo della moneta unica, infatti, succedeva una cosa molto semplice: più la Germania vendeva beni all'estero più la sua moneta si apprezzava, acquistava valore. Per comprare una Mercedes, ad esempio, un cittadino spagnolo doveva procurarsi i marchi per pagarla. Leggi anche: Euro, il tragico bilancio per l'Italia: una sciagura. Come ci ha ridotti E più ne acquistava meno ce n'erano in circolazione, con la conseguenza che il valore del marco cresceva. Il contrario accade alla moneta di un Paese che importa troppo: si svaluta. Ora, prima dell'euro il mercato riportava in equilibrio i prezzi delle valute: il marco si apprezzava, i beni tedeschi diventavano meno convenienti e la gente smetteva di acquistarli. Poi, con la moneta unica, questo meccanismo fu bloccato. L'euro, dunque, non fu fatto per impedire all'Italia di svalutare, ma per impedire alla Germania di rivalutare. Non sorprende allora il fatto che proprio dal 2002 i conti esteri di Berlino continuino a ingrassare. E non può essere un caso che nei 16 anni che precedono la nascita dell'euro, dall' 86 al 2001, le partite correnti tedesche, la differenza tra beni e servizi comprati e venduti all'estero, abbiano accumulato un deficit di quasi 15 miliardi di dollari. Mentre l'Italia registrava un avanzo di 69 miliardi. Se si confrontano questi risultati con quelli dei sedici anni successivi all'ingresso nell'euro, non il saldo con l'estero italiano è in negativo di 160 miliardi, ma soprattutto la situazione appare fuori controllo. La Germania, infatti, in questo lasso di tempo ha incamerato dagli altri Paesi, quelli con cui commercia, un avanzo di 3.256 miliardi di dollari, 3mila miliardi di euro. Il problema dell'eurozona sta tutto qui: il Paese più prospero in realtà campa sulle spalle degli altri. La crescita del reddito in Germania è stata sostenuta dal denaro dei Paesi europei meno floridi. Fino al 2010, a rimorchiare il vagone tedesco ci hanno pensato i Pigs, acronimo di Portogallo, Italia, Grecia, Spagna. O meglio i loro cittadini che, finanziati dalle banche tedesche, acquistavano beni prodotti in Germania. Poi, tra il 2010 e il 2012, il giochino si è inceppato, gli istituti di credito hanno smesso di prestare denaro fuori dai confini nazionali ed è scoppiata la crisi. Mercantilismo - La Germania ha adottato un modello di sviluppo che gli economisti chiamano mercantilismo: i salari sono tenuti a bada e con essi l' inflazione, in modo da essere sempre più competitivi e vivere sulle spalle degli altri. Un modello che non può essere adottato da tutti, a meno che non si riesca a vendere su Marte, o su un altro pianeta. Insomma, ci deve essere sempre qualche Paese che accetta di utilizzare le proprie risorse per sostenere l' offerta di beni prodotti dall'industria tedesca. Purtroppo, questo modello, adottato dall' Unione europea, è intrinsecamente fragile. Maggiore infatti il peso del settore estero, maggiore è l' esposizione ai venti internazionali. Se si esporta molto in un certo Paese, si finisce per dipendere da quello che succede lì: se questo va in crisi il Paese esportatore finisce nei guai. È il mercantilismo bellezza. Lo sviluppo delle economie europee in questa direzione è chiaro se si guarda all' incidenza dell' export sul Pil. Più è alto il rapporto più si dipendedall' estero. Così se nell' 86 l' export contava per il 18,7% del prodotto italiano e per il 21,3 di quello tedesco, nel 2017 la percentuale è salita al 31,3% e al 47,2%, rispettivamente. Quasi la metà del reddito che si produce in Germania viene dall' estero. Il surplus tedesco, nel 2017 si è attestato a 297 miliardi di dollari. Quasi il doppio di quello cinese, nonostante l' economia di Pechino sia grande quattro volte quella della Germania. costi dell' euro Se la moneta unica ha fatto così bene alla Germania, altrettanto non si può dire per l' Italia. In particolare se si guarda all' export. Tra l'85 e il 2001 le esportazioni italiane sono cresciute a una media annua del 7,9%, poco meno di quelle tedesche (+9,4%). Dopo, l' Italia langue, con un +2,2% di media tra il 2002 e il 2017. Di contro la Germania veleggia su un sempre più inarrivabile +6,7%. Ma non solo. Osservando i dati dall'86 al 2016 sul commercio tra Germania e Italia si vede chiaramente come, con l' introduzione dell' euro, il saldo peggiori a favore dei tedeschi. Nei 15 anni precedenti l'adozione della moneta unica, la differenza tra export e import nei confronti di Berlino è negativa per 69 miliardi di dollari. Nei quindici anni successivi addirittura di 227 miliardi. Insomma, una massa crescente di denaro lascia l'Italia e si dirige in Germania a causa di un tasso di cambio drogato: troppo debole per i tedeschi e troppo forte per noi. di Michele Zaccardi

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