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Banche e crisi da lockdown, "contrazione degli utili nel primo semestre 2020": l'analii del Centro studi Orietta Guerra

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L’analisi dei conti economici del primo semestre 2020 degli undici maggiori istituti di credito italiani evidenzia una contrazione complessiva dell’utile contabile pari a 6.584 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2019. La riduzione è dovuta principalmente all’impatto degli oneri d’integrazione per il piano industriale e altre operazioni straordinarie di Unicredit e, per tutte le altre banche, prevalentemente dalle maggiori rettifiche sui crediti a causa dell’aggiornamento dei modelli di valutazione delle attività finanziarie per il deterioramento dell’economia. Questi i dati elaborati dal Centro studi Orietta Guerra. Nonostante il lockdown che ha bloccato il Paese – e che si stima causerà per il 2020 una caduta del PIL superiore al 10% – i ricavi delle principali banche, nella prima metà dell’anno, hanno sostanzialmente tenuto, seppure con un lieve decremento del 3,3%. Le rettifiche sui crediti, pari a 5.909 milioni di euro, sono in aumento del 66,4% rispetto al primo semestre 2019 e, complessivamente, sono pari al 68,5% di quelle contabilizzate nel corso di tutto il 2019. 

Gli utili complessivi, salvo il risultato netto contabile negativo di Unicredit che “normalizzato” sarebbe positivo per 368 milioni, evidenziano un settore che al momento riesce a reggere meglio di altri la contrazione economica accentuata dal Covid-19. “I dati mostrano come le misure adottate dal Governo – liquidità alle imprese, cassa integrazione, moratoria sui mutui, blocco dei licenziamenti – abbiano permesso, pur con il sorgere di criticità, di rallentare l’impoverimento del Paese ed evitare tensioni sociali, soprattutto nei settori del turismo e della ristorazione che sono stati i più colpiti dalla crisi”, commenta Roberto Telatin, responsabile del Centro studi Orietta Guerra. “Certo, i bilanci fotografano una situazione economica in deterioramento ma le banche hanno anche la forza patrimoniale per sostenere le imprese che possono e vogliono ripartire. Diventa quindi fondamentale che il Governo, in questa fase, non tolga gli ammortizzatori sociali e gli aiuti anche fiscali alle imprese e predisponga un piano di riduzione soft di questi strumenti perché a soffrirne saranno, in primis, gli istituti di credito. Senza un sistema bancario solido, nessuna economia può ripartire”. Il valore dei crediti netti presenti nelle banche esaminate oggetto dello studio è aumentato di 10 miliardi rispetto a dicembre 2019. I crediti deteriorati, che sono diminuiti di 0,8 miliardi per la continua cessione di NPL, sono pari a 44 miliardi e rappresentano il 3,4% dei crediti netti con un indice di coverage pari al 52,5%. 

Le sofferenze rappresentano il 37,9% degli NPL e sono pari a 16,8 miliardi di euro, in diminuzione rispetto a dicembre 2019, mentre preoccupa la crescita degli UTP, oggi pari a 25,3 miliardi di euro, che sono il 57% degli NPL. E’ su questa tipologia di credito che passa la ripresa del Paese perché se non si riesce come sistema bancario a riportare in bonis questi crediti, il risultato sarà un aumento della disoccupazione, la chiusura delle imprese, l’impoverimento economico e le tensioni sociali.

“I dati del Centro studi Orietta Guerra dimostrano che il sistema bancario italiano è sostanzialmente sano. Invitiamo i Ceo e i Presidenti ad occuparsi di più di come aiutare l’economia italiana, le PMI, le aziende in difficoltà, i privati, piuttosto che pensare al ridimensionamento del personale e delle filiali”, commenta Massimo Masi, Segretario generale della Uilca. “Le banche si facciano carico, assieme al Governo, delle grandi opere di cui necessita il nostro Paese. Sul fronte delle aggregazioni ribadiamo che la Uilca non è contraria, a patto che si rispetti l’occupazione, la professionalità delle Lavoratrici e dei Lavoratori, la presenza sul territorio e l’aiuto all’economia. A noi il valzer delle poltrone non interessa”. Dopo l’acquisizione del gruppo bancario UBI da parte di Intesa Sanpaolo, i rumors annunciano un riassetto del sistema bancario che, visti i numeri della capitalizzazione e del valore del patrimonio netto, non è da escludere. Dall’inizio dell’anno le banche hanno complessivamente ridotto del 24% la propria capitalizzazione di borsa e oggi quotano mediamente il 40% del patrimonio netto. Questi dati rendono le aggregazioni fra banche molto più convenienti grazie anche alle linee guida della Vigilanza bancaria europea che considera il badwill (il risultato negativo dato dalla differenza tra la capitalizzazione di borsa e il patrimonio netto tangibile) un valore che può, in caso di fusione, essere utilizzato ad esempio per spesare i costi di aggregazione e/o aumentare la copertura dei crediti. Per questo non bisogna sottovalutare il rapporto patrimonio netto/capitalizzazione perché forse può indicare le prede e i predatori del risiko bancario: la territorialità non è più un argomento su cui costruire o difendere un gruppo bancario ma un simbolo che attende solo di essere prezzato dal mercato.

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