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Metano, l'Italia vuole il gas? Basta balle: l'unica via sono pozzi e perforazioni

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Giuseppe Valditara
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Marcellino Tufo è un ingegnere dell'Eni di Ravenna, esperto di perforazioni energetiche. Intervenuto come delegato alla assemblea organizzativa 2022 della Cgil, ha avuto il coraggio di denunciare l'ipocrisia di una classe dirigente sindacale e politica che rincorre falsi miti ambientalisti senza avere il senso della realtà. I nomi messi sotto accusa sono pesanti: Landini, il segretario della Cgil e Bonacini, uno degli esponenti più illuminati del Ps. Il tema riguarda le politiche energetiche e in specie il gas, da poco liberato dall'Unione Europea dal marchio d'infamia di sostanza non green. La crisi ucraina e il drammatico aumento delle bollette ripropongono il tema degli approvvigionamenti.

 

 

A fronte di un incremento in Italia dei consumi di gas naturale del 6,8% nel 2021 sul 2020, siamo sempre più dipendenti dall'importazione da aree critiche del pianeta. Il 40,7% del gas consumato in Italia viene importato dalla Russia, il 21.5% dall'Algeria e il 6,2% dalla Libia. Solo il 5,8% proviene dalla produzione nazionale. Eppure il gas è al primo posto fra le fonti energetiche del Paese fornendo ben il 35% del fabbisogno italiano di energia: l'economia nazionale è dunque dipendente da zone ad alto rischio strategico. Tufo denuncia fra l'altro come l'importazione sia particolarmente inefficiente, scarsamente compatibile con esigenze ambientali e assai costosa, posto che circa 1/4 del prodotto si perde nel trasporto. A fronte di un prezzo del gas sempre più caro, un miliardo di metri cubi di gas prodotto in Italia genererebbe 2 miliardi di pil. Dal momento che la transizione energetica ha bisogno di tempo, il gas può essere una delle soluzioni nella fase di passaggio verso forme di energia pulita.

PRODUZIONE NAZIONALE
Ecco allora la particolare attualità di un aumento della produzione nazionale e da qui la drammatica importanza della denuncia del sindacalista della Cgil contro l'ipocrisia e la mancanza di coraggio di alcuni vertici sindacali e politici della sinistra italiana che non hanno il coraggio di puntare su nuove perforazioni. Le perforazioni sono fra l'altro regolamentate da una normativa che è in Italia fra le più severe al mondo. Carlo Pelanda su Italia Oggi ha recentemente calcolato che, tra pianura padana, Adriatico, Meridione, e offshore ionico-siculo, è sensato ipotizzare un potenziale di circa il 25/30% del fabbisogno nazionale per i prossimi 40 anni. Nel 2018 la produzione domestica di gas ammontava a 4,6 milioni di tep (tonnellate petrolio equivalenti) per un risparmio sulla bolletta energetica di 1,2 miliardi di euro. Abbiamo riserve non sfruttate pari a 82 milioni di tep.

 

 

Come scrive Maurizio Masi, già direttore del Dipartimento Chimica del Politecnico di Milano, sul blog di Lettera 150, citando dati di Assomineraria: «Per aumentare ulteriormente la produzione si devono fare nuovi pozzi. Visti gli investimenti ingenti gli scenari non sono mai a breve termine. Ciò vuol dire garantire uno scenario stabile. Non si può investire in prospezione, e perforazione senza la garanzia di poter coltivare un pozzo, ossia estrarre una adeguata quantità di gas». Eppure non si ha il coraggio di percorrere con decisione una strada necessaria per il futuro energetico del Paese. Ora, con la pubblicazione del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile il ministro Roberto Cingolani promette di voler superare la moratoria del 2019. Ma già il Movimento 5 Stelle si mette di traverso e il PD sembra volerlo seguire a ruota. Se non ci si sbriga saranno gli italiani a pagare il conto.

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