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Mario Draghi, una mancetta non basta: taglia-prezzi, ecco perché il piano così non funziona

Francesco Specchia
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Il primo pensiero comune, in questi giorni, è infiammabile. Come quello dell'italiano medio che spinge la pistola dentro il serbatoio sperando di non farsi troppo male: «Mio Dio, mentre faccio il pieno di benzina a 2404 euro al litro, sto ancora finanziando la guerra d'Etiopia...». T' avissi accisa, pensa qualcuno, in riferimento alle 19 accise impossibili inserite nel costo del carburante: 0,728 al litro di benza, il 55% se si tiene conto pure dell'Iva. Questo, comunque, il primo pensiero del popolo. Il secondo pensiero è: «Ma davvero questi pensano che con uno sconto di 15 centesimi al litro, il governo pensa di risolvere l'emergenza?». Perché, secondo il pacchetto di misure che Draghi starebbe per varare per contenere la crisi energetica, pare che proprio la sforbiciata di 15 cent alla pompa - sia per la benzina che per il gasolio possa essere la soluzione all'avvicinarsi dell'apocalisse energetica. E poco conta che qualcuno noti che l'extra gettito Iva - 200 milioni, fino a 2 miliardi proiettato per tutto l'anno - per finanziare l'operazione, la finanzierebbe sì ma solo per qualche mesetto.

 

In fondo, se il suddetto sconticino è già in voga in Francia e in Germania alle prese con i nostri stessi disastri, bè, magari si può fare anche da noi senza ricorrere ad altri fastidiosi scostamenti di bilancio. Invece no. I partiti, in questa circostanza, si destano dal torpore. Tra questi, Forza Italia con Matilde Siracusano e Antonio Tajani, afferma che il taglio dei 15 cent sia troppo poco e rischioso per le tensioni sociali: «Serve, invece, una poderosa revisione delle accise, che impatti per almeno 60/70 centesimi al litro»; e in quel caso, in effetti, il prezzo al litro scenderebbe sotto la soglia psicologica dei 2000 euro. Eppoi c'è Matteo Salvini: invoca misure immediate. Giuseppe Conte propone di estendere la tassazione degli extraprofitti anche a settori come le assicurazioni e, nel frattempo, già che c'è, sottoscrive la richiesta dei suoi senatori di una seduta straordinaria in Commissione Finanza, «per sentire urgentemente alcuni protagonisti del settore, a partire dall'Agenzia delle Dogane» (interessante ma anche questo non risolutivo). E il Pd che rilancia l'idea di un «assegno energia per le famiglie» più in difficoltà. E l'europeista Silvio Berlusconi che sollecita un intervento europeo. Si veleggia, però nell'incertezza. Di certo c'è che Draghi accelera sul «taglia-prezzi», e sul «fare in fretta», ma fino al Consiglio dei Ministri di domani tutto è in divenire.

Si accenna ad ulteriori interventi. Si parla di un'altra «rateizzazione delle bollette»: il 50% subito e il resto in dieci tranche. Nemmeno questa, ad occhio, una soluzione risolutiva. Si ventila l'idea di tornare a puntare sugli extraprofitti delle imprese di alcuni settori interessati «così da spingere giù i prezzi preservando la stabilità della finanza pubblica»: cioè tassare di più le imprese d'energia che in queste settimane si sono ingrassate, per spostare le risorse ottenute, magari sulle imprese energivore dissanguante e sulle famiglie. Magari aggiungendoci 800 milioni per i ristori e «un miliardo di fondo di garanzie perle esposizioni bancarie». Il tutto mentre l'Austria chiede di togliere il tetto minimo all'Iva a livello europeo, per insufflare ossigeno e dare margini di manovra ai vari governi. E mentre avviene tutto questo, bisogna dire che, sempre a livello di Bruxelles, il nostro premier incassa, nell'alveo della complicata normativa Ue, l'apertura sia sugli extraprofitti che sul price cap, la fissazione di un tetto Ue alla vendita del gas (si vocifera 80 euro al megawattora). Ora, non staremo qui ad indagare sull'instabilità inedita del petrolio che torna sotto i cento dollari al barile, mentre la benzina, magicamente balza ai prezzi massimi di sempre, +18% da inizio guerra d'Ucraina. Questo dossier l'hanno già aperto la politica e parte delle magistratura, dopo lo stupore del ministro Cingolani che ha parlato di truffa del mercato e di spirale speculativa.

 

Il problema è la cornice sociale in cui il caroprezzi si sta sviluppando. Il Pil scende del 2%, così come il nostro indice manifatturiero; il debito pubblico schizza ancora al 155%, (+31 miliardi); idem la spesa pubblica al 57% del Pil stesso. Eppoi tornano i blocchi dei Tir; e i Comuni e gli ospedali si riempiono di profughi atterriti; e la guerra, con i suoi rincari non solo sul carburante ma anche di cibo e energia peserà 2.350 euro in più a famiglia. E piani del Pnrr si stanno impantanando in tre cerchi diversi di burocrazia, da quella europea a quella dei Comuni. È la profezia di Giulio Tremonti. Non siamo ancora alla frutta, beninteso. Anzi teniamo botta più di altri. Ma quei 15 centesimi in meno, così, suonano malissimo... 

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