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Russia già in default, ma non fallirà: quei 150 miliardi in oro a cui Putin si aggrappa per resistere in guerra

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Antonio Castro
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L'ombra del default si staglia sulla Russia di Putin. Ma per il momento lo "zar" può ancora dormire sonni (finanziari) tranquilli. Almeno fino a metà aprile. Mosca infatti dovrebbe pagare agli investitori un totale di 117 milioni di dollari di interessi su due delle sue obbligazioni denominate in dollari vendute nel 2013. Ma Mosca- come qualsiasi altro Paese sovrano può godere di un periodo di "grazia standard" di 30 giorni per colmare il debito.

Se poi il ministero delle Finanze russo non dovesse riuscire a saldare i titoli di debito ("presso una banca di New York" e in dollari Usa come prevede l'accordo del 2013), potrebbe scattare il default. Ma attenzione. Le variabili sono tante e non sempre a sfavore di Mosca. Prima di tutto le sanzioni occidentali hanno limitato di molto l'operatività finanziaria di Mosca. Dal 28 febbraio la borsa moscovita è chiusa. La banca centrale russa puntellato il corso del rublo innalzando al 20% il tasso d'interesse per arginare le fughe di capitali dalla valuta nazionale.

 

 

E poi soltanto 3 giorni fa il ministro delle Finanze, Anton Siluanov, ha messo le mani avanti spiegando che «la Russia è pronta a pagare il debito pubblico in rubli al tasso di cambio della Banca centrale del Paese». Se i 107 milioni di titoli "scaduti" rappresentano un antipasto Mosca ha in pancia - stando alle proiezioni Bloomberg aggiornate- circa 40 miliardi di debito pubblico in valuta estera e 105 miliardi di debito privato (delle imprese che comunque orbitano nel "perimetro"). L'avvertimento che il governo del presidente Putin possa saldare i debiti con i finaziatori esteri in rubli è più di una ipotesi. Sempre Siluanov il 14 marzo aveva avvertito i mercati: potremmo sempre pagare in valuta locale. «In particolare, per gli Eurobond emessi dal 2018 questa possibilità è stata prevista nei contratti di emissione». Considerando che la Russia ha riserve finanziarie accertate per 630 miliardi di dollari (quelle occulte ovviamente non sono censite ma sono comunque consistenti come dimostrano i capitali "surgelati" in giro per il mondo negli ultimi 20 giorni di sanzioni), e che 150 miliardi di queste sono costituite in oro c'è da chiedersi per chi in ultima analisi sia maggiore il ventilato default "tecnico". Piccolo dettaglio.

 

 

 

Ogni giorno Mosca vende (anche ora che è sottoposta a nuove sanzioni), l'equivalente di 3,5 milioni di barili di petrolio e 275 milioni di metri cubi di gas. Con un incasso giornaliero (!) di circa 700 milioni di dollari/giorno. Ma l'incasso non è attualizzato ai valori correnti. Pagamenti, questi, che vengono onorati dai clienti occidentali pena la chiusura dei "rubinetti" energetici. Dall'inizio delle "operazioni militari straordinarie" (i russi definiscono così l'intervento militare in Ucraina), il ministero della Transizione Tecnologica italiano ha stimato che la Russia abbia fornito alla sola Europa la bellezza di un controvalore di 18 miliardi di forniture energetiche (di cui 3 miliardi soltanto all'Italia). Prima delle olimpiadi invernali di Pechino Mosca ha sottoscritto un accordo 30ennale di fornitura alla Cina di gas. Insomma, i giganti energetici non hanno certo problemi a vendere. Semmai sono i "clienti europei" a non sapere come diversificare rapidamente gli approvvigionamenti.

E questo vale soltanto per il capitolo energetico. Poi c'è quello delle altre materie prime (ferro, nichel, terre rare), per non parlare delle derrate alimentari (grano tenero, grano duro, olio di semi, uova). L'Ucraina è uno dei giacimenti agroalimentari più importanti. E infatti i prezzi sono lievitati rapidamente già per tutta la filiera alimentati dalla speculazione finanziaria. L'evetuale default sul debito estero della Russia - di cui circa 20 miliardi di dollari erano nelle mani di stranieri prima dell'invasione - solleverebbe anche domande sulla mole di debito in rubli del Paese, e sui circa 90 miliardi di dollari di obbligazioni in valuta estera emesse da società russe. L'ultimo caso di fallimento è quello dell'Urss (1988). Crisi finanziaria che che mise a rischio la stabilità dell'hedge fund americano Long-Term Capital Management. Poi, era Eltsin, il governo ha ricontrattato il debito in rubli e quello in dollari dell'era sovietica. Ma- per dare stabilità al nuovo corso sono comunque stati onorati i pagamenti sulle obbligazioni internazionali emesse dal crollo dell'Unione Sovietica. L'ultimo default completo sul debito estero è avvenuto all'indomani della rivoluzione russa, quando il governo bolscevico ripudiò i debiti dell'era zarista.

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