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Smart working. Si torna alla legge 81? Non ora. Scatta la proroga

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Qualche giorno ancora di corrispondenza tra stato di emergenza e “smart working” semplificato, strumento alternativo alla presenza a lavoro. Qualche giorno e non più, perché se il primo cessa definitivamente il 31 marzo 2022, il secondo – stravolto in due anni dai tanti decreti emergenziali regolatori tesi a semplificare le procedure di accesso in azienda - gode di una proroga temporale che lo spinge sino a fine giugno.

Il 31 marzo 2022 non è più, dunque, la dead line del passaggio del c.d. “lavoro agile” dalla fase emergenziale e semplificata a misura strutturale su larga scala. Vediamo quali, tra le misure prese per fare fronte alla pandemia, potrebbero subire sostanziali correzioni nella modalità di lavoro più usata nel periodo pandemico, destinata ora a cambiare rispetto alla forma conosciuta durante l’emergenza.
La legge n. 81 del 2017 caratterizza il “lavoro agile” come alternanza tra lavoro in presenza e lavoro da remoto. Se durante la pandemia se ne è conosciuto il volto inedito, improntato a urgenza ed eccezionalità, in tempi normali non se ne ha un modello predefinito.

Il gruppo di studio da qualche mese istituito ad hoc dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali ha voluto comprendere come le parti sociali abbiano regolato il tema; prima ancora, cogliere le esigenze emerse dall’esperienza maturata sul campo. La constatazione iniziale è stata che la ridefinizione di regole non può non tener conto di processi di trasformazione non ancora perfettamente delineati. Premessa valida per ritenere indispensabile mettere in campo ipotesi che trovino il loro “terreno ideale nel dialogo sociale e quindi nel confronto con le parti sociali”, afferma Pasqualino Albi, presidente del gruppo di studio Lavoro agile, per il quale questa modalità di lavoro sarà – oramai pensando al 1° luglio 2022, non più al prossimo 1° aprile – senz’altro più dinamica.

Dal dialogo con le parti sociali è già nato un Protocollo (7 dicembre 2021), che tuttavia interessa il solo settore privato ma che è finalizzato a fornire linee di indirizzo, efficace quadro di riferimento per la contrattazione collettiva e input alla gestione aziendale del “lavoro agile”. 
    
Ciò posto, in assenza di indicazioni sul nuovo smart working, sembrano chiari alcuni punti. Uno su tutti, la possibile transizione di una vasta parte del mondo del lavoro verso forme stabili di “lavoro agile” impone di governare, gestire - non subire - il fenomeno.

“Una corretta ed intelligente utilizzazione del lavoro agile può”, aggiunge Pasqualino Albi, “favorire un netto miglioramento della vita personale dei lavoratori e delle condizioni ambientali: ad esempio, la riduzione importante delle emissioni inquinanti come effetto della riduzione del traffico delle auto, la possibilità di individuare sedi raggiungibili a piedi o in bicicletta, tutte ipotesi da valutare sul piano della transizione green. Da un lato assisteremo ad un ritorno all’origine e certo ad un impatto quantitativo non comparabile a quello pandemico mentre dall’altro ad un nuovo inizio, attraverso l’esperienza che abbiamo maturato in questo periodo e la nuova consapevolezza delle potenzialità dello strumento. Alla base ci sarà l’accordo del datore con il lavoratore nell’alveo della disciplina di legge e di quella eventualmente posta dalla contrattazione collettiva che potrà svilupparsi lungo le linee di indirizzo tracciate del Protocollo dello scorso 7 dicembre”.

Dal 1° luglio, un punto centrale che distingueva nettamente il pubblico dal privato verrà a cadere: le peculiarità saranno soprattutto connesse all’organizzazione e all’attivazione dello strumento, fermo l’accordo individuale, che nelle pubbliche amministrazioni si ricollega anche alla programmazione che ciascuna amministrazione deve fare ed in cui deve rientrare anche il lavoro agile. Prima di allora (fino, quindi, al 30 giugno), benché la base normativa sia comune (legge 81/2017 che si applica, in quanto compatibile, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), la differenza sostanziale è che per il settore pubblico è necessario l’accordo individuale, mentre per il privato è ancora ammessa la forma semplificata di smart working, con attivazione unilaterale del datore di lavoro.

Resta inalterata la possibilità, per tutti i lavoratori che svolgono mansioni compatibili con lo smart working, di continuare a beneficiare dello strumento. Il Protocollo dei primi di dicembre, stabilendo l’impegno delle parti sociali a facilitare l’accesso al “lavoro agile” per i lavoratori in condizioni di fragilità e di disabilità, anche nella prospettiva di utilizzare la modalità di lavoro come misura di accomodamento ragionevole, riprende la stessa legge 81/2017 quando essa prevede che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità.

E’ essenziale, nella fase successiva allo stato di emergenza sanitaria, riconsiderare lo smart working. Spieghiamoci: al di fuori degli accordi individuali, unici a prevedere in che misura si farà ricorso al “lavoro agile”, questo non può essere identificato con il lavoro da remoto in casa. Sostiene il presidente Albi: “L’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali aziendali (…) è importante anche per mantenere il contatto con i colleghi e con la realtà aziendale. La legge non pone preclusioni particolari sull’organizzazione ma, giustamente, impone solo dei limiti al rischio di sovrautilizzazione del lavoratore, attraverso l'obbligo di rispettare la durata massima dell’orario di lavoro e di garantire la disconnessione. In tal senso, ad esempio, il Protocollo nazionale prevede che la prestazione di lavoro in modalità agile possa essere articolata in fasce orarie, individuando, in ogni caso, la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa”. E: “Ancora, il Protocollo nazionale pone l’accento su temi come la regolazione della disconnessione, la salute e la sicurezza del lavoratore agile, il diritto alla parità di trattamento e pari opportunità, la garanzia della protezione dei dati personali, sottolineando anche l’importanza della formazione e dell’informazione dei lavoratori".

Esimerci dagli aspetti fiscale e contributivo, connessi alle richieste future di lavoro da remoto, non possiamo. Senza perdere di vista le soluzioni moderne ed efficienti che le aziende attuano, la vasta produzione normativa e conseguente interpretazione di prassi suggeriscono, ad esempio, evidenti implicazioni nello svolgimento dell’attività lavorativa in territorio estero (anche viceversa), in termini di assolvimento degli obblighi contributivi e tributari dei sostituti d’imposta. Stessa sorte hanno, per ora, gli adempimenti in ipotesi di lavoro da remoto entro i confini italiani: corretta gestione fiscale delle trasferte, trattamento dei rimborsi spese, eccetera. Questioni pratiche, non ancora trattate per essere aggiornate o del tutto normate.

Sì che la contrattazione integrativa d’emergenza ha tracciato il percorso in questi mesi (ed è molto) ma non basta. Facendo un bilancio dell’eredità che essa lascia al futuro quadro normativo sul lavoro agile, non si può considerarlo che positivo: in molti accordi sono stati “sdoganati” i buoni pasto anche per gli smart workers; altri prevedono l’incremento delle prestazioni sanitarie integrative a sostegno di lavoratori da remoto che si sono ammalati di Covid. Sotto questo aspetto, hanno assunto importanza fondi e casse, destinati ad un ruolo di spicco nelle previsioni sullo smart working dopo il 30 giugno. E’, pure, cresciuto il ricorso alle polizze assicurative.

Ultima non ultima la conferma di un trend della formazione, che di qui a breve potenzierà le opportunità di e-learning, sempre che le aziende organizzino correttamente la fase di transizione. Tutto rimandato all’estate.

redigo.info

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