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Auto a benzina addio? "La Cina ci divorerà": il nodo delle batterie, l'allarme dell'esperto

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Tommaso Lorenzini
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Il voto epocale del Parlamento Ue sull'abolizione delle auto a combustibili fossili fa sobbalzare anche gli addetti ai lavori. Guido Costantini, direttore di Al Volante, il settimanale specializzato più venduto, è perplesso sul futuro che attende il comparto e, allo stesso tempo, le tasche dei cittadini. «Questo è un voto sul filo del rasoio. Le posizioni più caute sul passaggio integrale all'elettrico del ministro Giorgetti era condivisibili. Anche il ministro Cingolani ha avvisato che con questa scelta vengono rimessi in discussione 300mila posti di lavoro. Ora si impone di tutelare gli interessi dell'industria e dell'economia nazionale dell'automotive, uno dei nostri comparti chiave».

 

 

 

Abolire i motori diesel e benzina è un salto nel buio?
«Non lo definirei così, perché il progresso tecnologico va perseguito. Siamo di fronte ad altro. Intanto c'è da capire se la direzione presa dalla Ue disattenda il principio di neutralità tecnologica. Se si punta solo sulle auto elettriche, vengono tagliate fuori soluzioni alternative e percorribili come i carburanti sintetici: sempre di combustibile che brucia si tratta, ma i livelli di inquinamento sono molto più bassi dei tradizionali».

Visto che in Danimarca sta per aprire una fabbrica di latte sintetico, come non trovare il modo di fare carburanti altrettanti "sicuri"?
«Esatto. Invece l'Ue butta via i miglioramenti di emissioni fatti dai motori tradizionali. L'Euro6d Temp ha raggiunto alti livelli di standard, già si parlava di certificazione Euro7. Impedirne la vendita dal 2035 è come minimo affrettato. E poi, perdonatemi, alla fine di cosa dibattiamo? Inquinanti de che? Qui si parla di emissioni di Co2 prese in considerazione nell'utilizzo dell'auto e non dell'inquinamento di un veicolo nel suo ciclo di vita a partire dalla produzione».

 

 

 

Spieghiamo.
«Se è vero che l'auto elettrica non emette Co2, tuttavia per produrla, dalla scocca, alla piattaforma, agli interni fino alla batteria - il componente chiave del "prodotto - vengono attivati processi complessi che emettono la fatidica Co2 e altre sostanze inquinanti. Alcuni studi considerano che, nonostante tutto, con un'auto elettrica anche questo ciclo completo sia inferiore in termini di Co2: resta il tema di fondo che l'auto pulita non esiste e qui si apre un altro capitolo».

Quale?
«Quello dell'energia elettrica che ricaricherà le batterie di un'auto per farla muovere. Se questa energia è prodotta da centrali a carbone, per quanto all'avanguardia, o non da fonti rinnovabili, si torna punto e a capo. In ottica Co2, la produzione più pulita sarebbe quella del nuclerare, ma qui si spalanca un ulteriore scenario controverso, che coinvolge anche lo smaltimento delle scorie: insomma, costi ambientali».

L'addio all'auto tradizionale sarà una rivoluzione più complessa e costosa per l'industria o per il cittadino?

«Per entrambi. L'industria, grazie ai grandi numeri, riesce nell'efficientamento e nell'abbassare i costi. Questo comporta ch,e mano a mano che si diffonderanno le auto elettriche, si assisterà a una curva di aumento di costo che dovrebbe incrociare quella delle auto tradizionali fra il 2024-2026. Però attenzione: è una curva che anche per le auto a motore termico va verso l'alto, perciò queste vetture costeranno più di adesso. Luca De Meo, presidente della Renault, ieri in Italia per un incontro con l'Anfia, l'associazione della componentistica, l'ha detto chiaramente: "Scordatevi che a breve una macchina costi meno di 20mila euro". Elettrica o no. Il rispetto di standard sempre più severi per restare dentro le norme anti-inquinamento comporta costi di sviluppo e produzione sempre più alti. E tutto questo si rifletterà sul prezzo finale per il consumatore».

Non abbiamo toccato il capitolo della ricarica delle batterie.

«Una delle obiezioni che muove l'Acea, Associazione di costruttori di auto europea, è proprio che per centrare questi obiettivi del piano Fit for 55 secondo uno studio McKinsey servirebbe una rete composta da 6,8 milioni di punti di ricarica pubblici in Europa, ben lontana dai 300mila di oggi. Bisogna perciò fare i conti con la realtà. Non solo queste auto rischiamo di alimentarle con energia che non è del tutto pulita, ma non abbiamo neanche una rete adeguata di stazioni di ricarica pubblica. Senza contare quello che dovranno fare i privati nelle loro abitazioni. E poi, saremo legati mani e piedi ai cinesi».

Cioè?

«È un po' quello che succede con l'Opec per quanto riguarda il petrolio. Sono i cinesi che dominano il settore non solo dell'estrazione dei metalli rari e delle materie prime che servono a realizzare le batterie, ma ne sono anche i leader della prima lavorazione. Quando si parla di gigafactory, alla fine parliamo di assemblaggio, ma il grosso viene fatto a monte: cioè a Pechino e dintorni...». 

 

 

 

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