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Flat tax, ce lo chiede l'Europa: ecco perché bisogna farla

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Giuseppe Valditara
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Non passa giorno che la sinistra politica e mediatica non sottoponga il centrodestra ad una sorta di esame del sangue europeista. Peccato che proprio questa sinistra sia poco coerente con le direttive di Bruxelles su un tema importante come quello del fisco. Il paragrafo 25 della raccomandazione 616/2022 della Commissione europea, dopo aver sottolineato che il sistema tributario italiano si caratterizza per un peso eccessivo della tassazione sul lavoro, denuncia la forte discontinuità fra le aliquote marginali. Detto in altri termini, vi è una eccessiva distanza fra le aliquote, che andrebbe dunque ridotta. È l'implicito riconoscimento della bontà di un regime fiscale che tenda all'appiattimento fra le aliquote. Insomma è un buon viatico per la flat tax. Questa raccomandazione dovrebbe essere più attentamente considerata prima di sparare a zero contro chi sostiene una riforma che mira ad introdurre nel nostro sistema la cosiddetta flat tax. Le due critiche più forti che si fanno alla tassazione piatta consistono nella sua pretesa insostenibilità economica e nella sua incostituzionalità per difetto di progressività. Andiamo a verificare se queste critiche hanno consistenza con riguardo al ddl presentato in Senato a prima firma Salvini/Siri. Intanto va osservato che già oggi la flat tax si applica a circa 2 milioni di partite Iva, grazie alla riforma fortemente voluta dalla Lega all'epoca del primo governo Conte, con risultati senz' altro positivi.

 

 

 

COSA CAMBIA

Il progetto di legge della Lega prevede tre fasi. Una prima fase alza per le partite Iva la fascia di applicazione della tassa piatta dagli attuali 65.000 euro a 100.000. Sopra i 100.000 euro si continua a pagare l'aliquota attuale. Con la successiva legge di bilancio, è previsto l'avvio della seconda fase che consiste nella applicazione del cosiddetto quoziente famigliare, ovverosia una tassazione modulata sul numero dei componenti il nucleo famigliare. Qui la tassa piatta al 15% scatta per tutti i lavoratori dipendenti e pensionati fino a 50.000 euro, nel caso di famiglia monoreddito, con uno scivolo di graduale adeguamento alle aliquote attuali fino a 55.000 euro. Dopo i 55.000 euro si pagano le imposte secondo la vigente progressività. Per le famiglie bireddito gli scaglioni partono da 65.000 euro con graduale adeguamento fino a 70.000 euro. Per i single la soglia è a 26.000 euro con scivolo fino a 30.000. Il quoziente famigliare prevede poi un meccanismo di deduzioni inversamente proporzionale al reddito e direttamente proporzionale al numero dei componenti il nucleo famigliare. Con buona pace dei critici, la progressività e quindi la costituzionalità della proposta, è incontestabile. Quanto alla copertura, si utilizzano i 7 miliardi di euro già stanziati per la riforma dell'Irpef voluta da Mario Draghi, e altrettanti miliardi da una revisione delle tax expenditures in vigore. Il passaggio alla terza e ultima fase, con la generalizzazione della flat tax per tutti i redditi, è previsto in modo assai equilibrato solo dopo aver verificato il funzionamento delle prime due fasi e comunque non prima di 4 anni.

 

 

 

L'EVASIONE

Sono immediatamente evidenti i benefici di questa importante riforma fiscale: intanto la minore tassazione è destinata a diminuire l'evasione, e quindi a recuperare gettito, secondo un principio di proporzionalità già ben affermato da Luigi Einaudi. Del resto la curva di Laffer dimostra come all'aumento delle tasse corrisponde di norma una diminuzione del gettito. Pagare meno tasse significa poi per i cittadini avere più soldi da spendere e quindi far ripartire i consumi. Lo si è visto esemplarmente al contrario proprio con l'introduzione dell'Imu che causò una significativa contrazione dei consumi delle famiglie, come dimostrato da un interessante studio di Paolo Suricu e Riccardo Trezzi. Far ripartire i consumi vuol dire poi mettere in moto l'economia. Significa anche ridurre la forbice stipendiale con gli altri lavoratori europei: gli stipendi dei lavoratori italiani si collocano infatti agli ultimi posti in Europa e il divario con Francia e Germania è ulteriormente cresciuto negli ultimi due anni. Infine proprio il quoziente famigliare, in un Paese con la più bassa natalità del continente europeo, è destinato a ridurre quello che è il fattore principale che scoraggia la genitorialità, ovverosia l'impoverimento della famiglia all'arrivo di figli. Certo, chi ha inaugurato la campagna elettorale auspicando la patrimoniale non condividerà questa linea di politica fiscale. Ma qui passa il discrimine fra i veri liberali e gli epigoni di Togliatti, di Nenni e di Dossetti.

 

 

 

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