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Pensioni, chi incassa 140 euro in più: i conti assegno per assegno

Sandro Iacometti
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La manovra di bilancio, salvo sorprese assai poco probabili nella lettura al Senato, visti i tempi, è chiusa. E i pensionati, dopo una girandola di numeri e percentuali che ha fatto venire il mal di testa anche ai più esperti, possono finalmente iniziare a farsi due conti. Che non ci sarà da festeggiare per tutti è una delle poche cose che si è capita. Per i redditi più alti è infatti scattata per l'ennesima volta la tagliola che non consentirà di incassare la rivalutazione piena degli assegni. La prudenza contabile chiesta dall'Europa e di fatto imposta dal nostro mostruoso debito ha costretto il governo a rosicchiare qualcosa anche lì. Lasciando il solito amaro in bocca a chi ha passato la vita a versare contributi e, da Monti in poi, si è visto regolarmente sfilare qualcosa dal portafogli.

 


Ma un'altra cosa è certa. A differenza di quello che accadde nel 2011 con il Salva Italia, che bloccò del tutto la perequazione per gli assegni sopra tre volte il minimo (norma poi bocciata dalla Corte costituzionale), questa volta gli incrementi, seppure in alcuni casi non sufficienti a coprire del tutto il rialzo dell'inflazione, arriveranno per tutti. Il trattamento migliore è quello riservato alle pensioni minime, che saranno rivalutate con aliquote che superano addirittura il 100% del carovita. Considerato un tasso provvisorio di inflazione stabilito dal ministero del Lavoro al 7,3%, l'adeguamento degli assegni fino a 525 euro sarà dell'8,9%, con un aumento di 46,8 euro. Per gli over 75 è previsto un ulteriore bonus, che farà salire l'aliquota al 14,16%, con un incremento mensile di 74,4 euro che farà salire il trattamento ai famosi 600 euro chiesti da Forza Italia. In entrambi i casi si tratta di maggiorazioni finanziate solo per il 2023 e quindi destinate a decadere se nella prossima legge di bilancio non saranno trovate altre risorse.
 

 

ADEGUAMENTO PIENO
Al di sopra di tale soglia e fino a quattro volte il trattamento minimo (2.101 euro lordi al mese) si entra nella fascia della perequazione al 100%, ovvero con l'aliquota del 7,3%. In questo caso gli incrementi andranno da un minimo di 38,3 euro ad un massimo di 153,4 euro mensili. Una delle novità entrate in manovra durante l'esame della Camera, con gli emendamenti in commissione Bilancio, riguarda le pensione tra 4 e 5 volte il minimo (fino a 2.626 euro). Per questo scaglio l'asticella dell'adeguamento all'inflazione, inizialmente più bassa, è stata portata all'85%.

 

Malgrado gli sforzi del governo di smussare le penalità per redditi non così elevati, siamo comunque approdati nel terreno della perequazione che non copre più interamente il tasso d'inflazione provvisorio. L'aliquota prevista per calcolare l'aumento in questo caso è del 6,2%. L'aggiunta che i pensionati riceveranno a fine mese oscilla da 130,2 a 162,9 euro. Si tratta, in ogni caso, dello scaglione che riceverà in termini assoluti (non ovviamente in termini proporzionali) gli aumenti più consistenti. Già, perché dai redditi previdenziali sopra cinque volte il minimo scatta la sforbiciata vera e propria, ben più severa di quella attuale, che prevedeva (sulla base di una legge del 2000 peraltro raramente applicata negli ultimi 20 anni) indicizzazioni del 90% per gli assegni tra quattro e cinque volte e del 75% per quelli superiori. In più con l'applicazione delle aliquote a scaglioni come accade con l'Irpef.

Superando i 2.626 euro mensili lordi, invece, ora partirà un taglio dell'adeguamento su tutto l'importo che non sarà affatto trascurabile. L'indicizzazione per gli assegni fino a 3.152 euro (sei volte il minimo) sarà solo del 53%. Per ottenere gli aumenti bisognerà dunque applicare un aliquota del 3,8%: gli incrementi vanno da 101,3 a 121,6 euro. Tra sei e otto volte il minimo (4.203 euro lordi) la percentuale di rivalutazione scende al 47%, il che si traduce in incrementi del 3,4% da 108,1 a 144,1 euro. Con l'aumentare del reddito il rasoio si fa sempre più affilato.

RASOIO AFFILATO
Da otto a dieci volte il minimo (5.253 euro) l'asticella si abbassa al 37% e l'aliquota di adeguamento diventa del 2,7%, con importi aggiuntivi che vanno da 113,4 a 141,8 euro. Si arriva, così, all'ultimo scaglione, quello delle pensioni più alte di 5.253 euro. In questo caso l'indice di perequazione scivola al 32% e l'aliquota per calcolare l'aumento al 2,3%. Gli aumenti in questa fascia partono da 122,4 euro e poi si irrobustiscono con il salire del trattamento. Questo è quello che i pensionati guadagneranno. Per avere un'idea di quello che hanno perso basta fare due esempi. Un assegno di 3mila euro con le vecchie regole si sarebbe gonfiato di 208 euro in più al mese, con le nuove si limiterà a 116 euro. Per chi incassa 6mila euro l'importo aggiuntivo sarebbe stato di 373 euro, ora sarà di 140. L'altra brutta notizia è che l'Inps per evitare di dare soldi che non spettano, sia mai, ha per ora fatto i calcoli solo per gli assegni che godranno della rivalutazione al 100%. Gli altri riceveranno il dovuto, ma dovranno aspettare un po'.

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