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Italiani impoveriti da dieci anni di tasse: altro che campioni di risparmio

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Attilio Barbieri
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Altro che campioni di risparmio! Mentre l’inflazione sta intaccando i depositi delle famiglie che in un anno hanno bruciato 19,6 miliardi per far fronte a maxi bollette e caro spesa, la nostra ricchezza netta pro capite misurata in rapporto alla popolazione, è inferiore a quella di tutti i maggiori Paesi industrializzati dell’Occidente, ad eccezione della Spagna. Secondo il rapporto Istat-Bankitalia, dal 2018 la crescita della ricchezza pro capite è stata modesta per le famiglie di Francia, Regno Unito, Germania e Italia e più sostenuta per le famiglie canadesi e statunitensi, grazie alla dinamica favorevole delle attività finanziarie. Negli ultimi anni, soprattutto nel 2021, la crescita per noi è risultata inferiore rispetto a quella degli altri Paesi.

Vale la pena di notare che l’anno in cui abbiamo cominciato a perdere posizioni è il 2012, quando a Palazzo Chigi arrivò Mario Monti e in nome del rigore imposto dall’Europa iniziarono a fioccare le tasse - a cominciare dalla casa - e i tagli alla spesa. La politica fiscale in loden, declinata dal bocconiano prestato alla politica più illustre, avrà anche messo in sicurezza i conti e il nostro debito pubblico- più che altro dalla speculazione agevolata dalle banche e dal governo tedeschi - ma ha intaccato la capacità delle famiglie di produrre e accumulare ricchezza.

 

 

 

NUMERI DA PESARE

Alla fine del 2021, ultimo anno preso in esame dallo studio, la ricchezza netta delle famiglie del Belpaese è risultata pari a 8,6 volte il reddito disponibile, misurato al lordo degli ammortamenti. Per fare un esempio, fatto 100 il reddito annuo di una ipotetica famiglia, la sua ricchezza sarebbe 860. E in termini assoluti, fermandoci cioè ai dati medi, «il valore si colloca al di sopra di quelli riportati da Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti», anche se «è inferiore a quanto registrato dalle famiglie canadesi, francesi e spagnole». E grazie a questi valori ci siamo guadagnati la fama di accumulatori. Di ricchezza.

Tutto cambia, però, se i numeri assoluti si pesano in rapporto alla popolazione e in particolare ai componenti dei nuclei familiari nei diversi Paesi. Da questa seconda prospettiva, vale a dire la ricchezza pro capite- siamo perdenti, sopravanzati da tutti gli altri grandi Paesi ad eccezione della Spagna, i cui dati si fermano però al 2020. Vale la pena di notare che i Paesi in cui la ricchezza pro capite è aumentata di più sono Stati Uniti e Canada, che hanno potuto liberare più risorse dopo la crisi sistemica del 2011, a differenza di quanto è accaduto in Europa.

 

 

 

MATTONE PENALIZZATO

Particolarmente penalizzata la componente non finanziaria della ricchezza, riconducibile soprattutto ai valori immobiliari che proprio dal 2012 in poi ha perso peso, a riprova che la stretta imposta da Monti è stata determinante nel frenare l’espansione della ricchezza italiana. Fra l’altro il calo nella componente immobiliare si riscontra anche nell’andamento della ricchezza netta delle società non finanziarie italiane che a fine 2021 ammontava a 880 miliardi di euro. Tra le attività reali, che rappresentano il 60% circa della ricchezza lorda, ha ripreso a crescere il valore dello stock di impianti e macchinari insieme alle altre opere, controbilanciando proprio la riduzione di quello degli immobili. Dal lato finanziario, sono aumentati soprattutto i depositi aziendali, seguiti da azioni, altre partecipazioni e derivati, portando la quota delle attività finanziarie sul totale della ricchezza lorda al livello massimo dal 2005. Le passività sono cresciute più delle attività, indica l'analisi, principalmente per effetto dell'aumento del valore di azioni e altre partecipazioni. Il livello di indebitamento delle imprese italiane, invece, si mantiene basso nel confronto internazionale, seppure in aumento nel 2021 in controtendenza rispetto agli altri principali paesi. Quanto alla ricchezza netta delle società finanziarie, nel 2021 era pari a 686 miliardi, mente c’è da registrare una diminuzione nell’incidenza dei prestiti attivi, dal 28 al 27%. 

 

 

 

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