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Conti correnti, ecco l'animometro: come funziona l'arma del fisco

Francesco Specchia
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«Dall’invenzione della scrittura le suppliche hanno perduto molta della loro forza, le ingiunzioni invece ne hanno guadagnata. È un brutto bilancio». Nel 1931 Walter Benjamin, grande intellettuale, si rivolse nel suo Breve scambio epistolare con il fisco (in Italia edito da Henry Beyle: come se Claudio Magris avessero supplicato il ministro Giorgetti...) per ottenere una moratoria – mai ottenuta- dall’Ufficio Imposte dirette tedesco, dimostrando così l’ineludibile dimensione democratica delle tasse.
Ed è evidentemente su questo principio, più di novant’anni dopo, che l’Anonimometro muove ora i suoi passi, nel grande disegno della riscossione e della lotta all’evasione totali. L’Anonimometro è «l’anagrafe dei conti correnti o dei rapporti finanziari», già prevista -e mai realizzata- dal governo Monti nel 2011. È l’algoritmo che ingloba l’enorme banca dati contenente tutte le informazioni finanziarie degli italiani; un’arma anti-evasione e perfono anti-elusione, di cui il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini ha solo accennato in un’ intervista al Corriere della sera. Ruffini ha fatto intendere che l’evasione in Italia abbia i giorni contati; e che si recupereranno ancora 2,8 miliardi; e che tutto si otterrà circoscrivendo i controlli nei confronti di soggetti a più elevata pericolosità tributaria e «con minore impatto su cittadini e imprese anche in termini di oneri amministrativi».

 

 

 

RIVOLUZIONE

E la rivoluzione fiscale che dovrebbe via via erodere, negli anni, i 99 miliardi di evasione italiana e assottigliare il tax gap (la differenza tra le imposte che vengono effettivamente incassate e quelle che si incasserebbero, passata dal 22,6% del 2014 al 18,5% del 2019 per circa 12 miliardi di euro) è connessa, appunto, all’uso di questo super strumento basato sull’intelligenza artificiale. Anche se nessuno ha ancora ben afferrato la sua funzione precisa. Ma, a domanda della testata ipetecnologica Wired, l’Agenzia delle Entrate ha fatto sapere che l’Anonimometro, «l’algoritmo di ottimizzazione di tipo stocastico utilizzato dall’Agenzia è stato prodotto internamente con il supporto del partner tecnologico Sogei». Banalmente, si parla di uso accorto del calcolo delle probabilità. Cioè: si incrociano i miliardi di dati contenuti, appunto, nell’Anagrafe dei conti correnti. E si assicura, al tempo stesso, il completo anonimato durante l’operazione nel rispetto della privacy di chi è in regola, pur fornendo alle autorità le informazioni necessarie per beccare gli evasori. Quest’idea dell’anonimato è esplosiva, e rientra in quella che il viceministro all’Economia Maurizio Leo chiama «approccio amicale al fisco».


Si previene il reato fiscale, piuttosto che reprimerlo, lavorando sull’analisi del «rischio finale circoscrivendo i controlli nei confronti dei soggetti», affermano dal Mef; così da ridurre costi ed esaurimenti nervosi da parte di coloro che subiscono l’accertamento. E il tutto avviene attraverso un processo chiamato «pseudonomizzazione dei dati». Un processo che indica la sostituzione dei dati sensibili - il nome o il codice fiscale con codici fittizi. I dati trattati non possono essere attribuiti a uno specifico interessato, senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, che devono essere conservate separatamente «garantendo tutte le garanzie sancite dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr)»; e che non varrebbero se i dati stessi fossero interamente anonimizzati. Dunque, le indagini dell’Anonimometro non sono a rischio “Grande Fratello”, non sottopongono a controllo totale e indiscriminato. In realtà, seguono – se si vuole - lo spirito dell’avviso di garanzia nel diritto penale: avvengono in forma anonima, almeno finché non si individuano quei conti che dovranno essere soggetti a controlli fiscali più approfonditi, perché a rischio di evasione. Siamo nel solco della fatturazione elettronica, insomma.

 

EFFETTO BENJAMIN

Nel possente incrocio di tutte le banche dati possibili dal Mef alla Guardia di Finanza, l’azione dell’algoritmo viene divisa tecnicamente in dieci fasi; che spaziano dall’individuazione della platea di riferimento alla messa a disposizione dei dati, dalla definizione del criterio del rischio alla scelta del modello d’analisi. In Francia quest’utilizzo affilato dell’AI ha consentito allo Stato, per esempio, di individuare molte piscine private (recuperando 10 milioni di euro di tasse) non dichiarate odi barche milionarie sbucate da proprietà di quasi- nullatenenti. Pensate a cosa accadrebbe, per dire, se si passassero al setaccio, a Roma, le residenze sull’Appia antica. O se un imprenditore non avvezzo alle fatture subisse, dal fisco, lo sfruculio di tutte le discrepanze emerse dall’apertura di vari conto correnti, anche esteri. La profilatura dei soggetti «a rischio d’evasione» è automatica, ma nello svolgimento dei processi, nella fase finale «viene sempre garantito l’intervento umano». L’uomo ha sempre, quindi, l’ultima parola. Si tratta di vedere, in quel preciso momento, se e quanto la politica potrà avere influenza sulla riscossione finale. Evitando, possibilmente, l’effetto-Walter Benjamin... 

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