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Christine Lagarde in trappola: qualsiasi mossa faccia la Bce, rischia di sbagliare

Attilio Barbieri
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Giovedì prossimo, 14 settembre, la Banca centrale europea è chiamata a pronunciarsi sui tassi d’interesse. Pochi giorni dopo, il 20, toccherà alla Federal Reserve americana. Ma per Christine Lagarde c’è un’incognita in più. Qualunque decisione assuma rischia di sbagliare. Se il responso sarà quello di tenere fermo il costo del denaro al 4,25% e i prezzi dovessero tornare a salire - com’è probabile per la fiammata d’autunno dell’energia- avrà commesso un errore. Quanto grave dipenderà dall’andamento del carovita. Ma anche qualora decida di alzare il costo del denaro, magari di 25 punti base, come prevede una buona parte degli analisti, rischia di scatenare una reazione indesiderata. Secondo il centro studi di Unimpresa qualora il costo del denaro salga anche soltanto dal 4,25 al 4,50% potrebbero prodursi «effetti opposti sul livello dei prezzi e quindi sull'inflazione, allungando il percorso di riavvicinamento all’obiettivo del 2%».

In parole semplici i prezzi, anziché scendere potrebbero tornare a salire. «Un rialzo di 25 punti base», spiegano gli analisti di Unimpresa, «potrebbero creare seri problemi di approvvigionamento di liquidità per le piccole e medie imprese italiane e rendere sempre più difficile l’accesso al credito per le famiglie: un mix perverso che potrebbe fermare il rallentamento dei prezzi o addirittura farli tornare a crescere a una velocità maggiore rispetto a quella attuale».

 

 

 

Alle prese con i conti che non tornano i produttori potrebbero essere tentati di ritoccare i listini verso l’alto, anziché abbassarli. Senza contare che se davvero il carovita dovesse rialzare la testa, con il Pil in contrazione in quasi tutta Europa, si profilerebbe il rischio della stagflazione. Prezzi in aumento con l’economia in ritirata. Proprio mentre dall’altra parte dell’Atlantico la locomotiva Usa ha ripreso a viaggiare a piena velocità. E non fa certo bene al clima di fiducia in Eurolandia, la prospettiva di ritornare al vecchio Patto di stabilità, con il limite invalicabile del 3% di deficit sul Pil.

 

 

 

Qualora facciamo una mera ipotesi funzionale al ragionamento - i Paesi come il nostro dovessero accettare il ritorno alla vecchi camicia di Nesso che ci ha ingabbiati per almeno due decenni, si troverebbero a dover imporre nuovi tributi anziché tagliare quelli esistenti. Con quali effetti sul Prodotto interno lordo è fin troppo facile immaginare. Un colpo per le economie di Eurolandia dal quale sarebbe difficile riprendersi per anni. Non soltanto per l'’Italia.

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