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S&P gela il partito dello spread: rating, lo schiaffo ai gufi

Sandro Iacometti
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Tanto tuonò che non piovve. Abbiamo passato le ultime settimane ad ascoltare i profeti di sventura che annunciavano cataclismi e sciagure, gli espertoni di mercati finanziari e dinamiche macroecnomiche che mettevano in guardia il governo sulla bufera in arrivo.

Qualcuno, come l'ex direttore della Stampa, Massimo Giannini, si è spinto fino al punto di prevedere un «autunno del rating» e un «novembre nero» per il Paese, che a causa di una Nadef sballata e traballante sarebbe finito nel mirino delle grandi agenzie Usa che già in passato sono state in grado di ribaltare gli esiti elettorali e di far salire a Palazzo Chigi esecutivi di salute pubbliche che ci hanno massacrato di tasse senza riuscire ad abbassare né il famoso differenziale tra Btp e Bund, né il debito pubblico. Il partito dello spread e i tifosi dello sfascio, auspicando una spallata a Giorgio Meloni che nessuna opposizione almeno per ora è in grado di dare, ci hanno raccontato che, sì, di qui a breve saremmo finiti di nuovo sull'orlo del baratro, del default, dell'abisso.

IL VERDETTO
Ebbene, ieri sera è arrivato il più temuto dei verdetti, quelli di S&P, mai tenera con l'Italia e con la sua gestione delle finanze pubbliche. Volete sapere come è finita? A tarallucci e vino.

L'agenzia di rating non solo ha confermato il rating a BBB (un gradino sopra il non investment grade) e non ha modificato l'outlook, il giudizio sulle prospettive, ma ha anche snocciolato delle stime sull'Italia più positive di quelle fatte dal governo. Esattamente come aveva detto in questi giorni il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, sostenendo di aver inserito nel Documento programmatico di bilancio stime assai prudenziali nel nome della serietà e della responsabilità. Le previsione di crescita rallentano, spiegano gli esperti di S&P, ma questo non cambia il voto sulla capacità del Paese di gestire il proprio debito nei confronti del mercato.

In altre parole, il primo giudizio sui conti pubblici dopo Nadef e manovra è positivo conferma le aspettative del governo. Le agenzie, ha detto più volte Giorgetti negli ultimi giorni, non potranno ignorare l'equilibrio e la prudenza. E non l'hanno fatto. Per S&P la crescita economica italiana decelererà nel 2023 e nel 2024: il Paese crescerà dello 0,9% quest'anno (più dello 0,8% previsto dal governo) e dello 0,7% il prossimo (meno delle stime del Mef), ma poi tornerà all'1,3% nel 2025. Il consolidamento di bilancio sarà più lento del previsto, ha aggiunto S&P, con un deficit al 5,5% del pil nel 2023, le cui colpe, per un ulteriore 0,8%, vengono attribuite, guarda un po', all'effetto degli incentivi per il Superbonus. Esattamente come ha sempre detto il governo. Per quanto riguarda il debito, come sanno anche i bambini, «la sua sensibilità alle condizioni del mercato resterà elevata». 

La sostanza, leggendo tra le righe del comunicato dell'agenzia di rating, è che non si scopre nulla che lo stesso ministro Giorgetti non abbia già detto, anche in Parlamento. «Abbiamo scritto una legge di bilancio correttamente impostata e a nostro giudizio troverà la valutazione onesta delle agenzie di rating che l'hanno letta e di certo non basano le loro valutazioni sul gossip e i titoli scandalistici», ha detto anche ieri. Per i gufi, una brutta giornata.

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