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Carlo Cottarelli, "Italia promossa e intesa con l'Europa"

Pietro Senaldi
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La speranza sono le nuove generazioni. Per questo Carlo Cottarelli, per conto dell’Università Cattolica, gira le scuole superiori precettando a turno cinque ex presidenti del Consiglio ed ex ministri dell’Economia del calibro di Tremonti, Siniscalco, Padoan, Franco, Tria, per spiegare ai ragazzi l’economia. Mezz’ora di discorso degli ospiti e poi un’ora di domande a tema libero. All’indomani della promozione (la quarta su quattro) dell’Italia da parte delle agenzie di rating, facciamo la parte degli studenti e sottoponiamo il professore a dieci nostri quesiti.

ITALIA PROMOSSA

Nel silenzio della stampa che per mesi ha lanciato l’allarme conti, venerdì Moody’s ha promosso il nostro Paese, dichiarando di avere uno sguardo non più negativo sul futuro. È la quarta agenzia di rating che ci promuove su quattro: un caso?
«Già quaranta giorni fa rassicurai un esponente del governo che sarebbe tutto andato bene. Le agenzie di rating solitamente non anticipano nulla, si limitano a seguire il mercato. Oggettivamente non ci sono rischi significativi di un default dell’Italia nei prossimi tre anni e di una ristrutturazione del debito pubblico. Quindi era scontato che non saremmo stati declassati».
Perché allora tanta paura? 
«Perché in Italia, dopo il 2011 e la caduta di Berlusconi, ci si è convinti che possa esserci un complotto di natura politica per far salire lo spread e far cadere i governi. Allora l’Italia rischiava davvero il default, perché i mercati temevano che il Paese sarebbe uscito dall’euro e hanno dato un segnale».

 

 

I PARAMETRI DEL DEBITO

Il nostro debito pubblico però non può farci stare tranquilli. Come finirà il braccio di ferro con l’Europa per cambiare le regole di Maastricht? 
«A tarallucci e vino? Alla fine verrà fuori qualcosa di simile alla proposta della Commissione Ue: ci si siederà intorno a un tavolo e si concorderà un sentiero di diminuzione del debito pubblico, dandoci dai quattro ai sette anni per dare segnali di decrescita del debito. Un buon compromesso, tant’è che i Paesi nordici vorrebbero inserire qualche vincolo in più».
Lei non condivide quindi la posizione del governo, secondo il quale piuttosto che questa modifica sarebbe meglio far rivivere l’accordo pre-Covid? 
«Credo che il governo lo abbia detto come provocazione. Quell’accordo ci imporrebbe una riduzione del rapporto debito/Pil del 4% l’anno. Va bene che non è mai stato applicato, però è rigidissimo».

 

IL PROBLEMA DEL DEFICIT

Allora lei non prevede particolari problemi dall’Europa? 
«La sola cosa che può darci fastidio è se, come probabile, resterà la regola di contenere il deficit pubblico al 3% del Pil. Lì rischiamo una procedura d’infrazione dall’Europa».
Con quali conseguenze? 
«Non drammatiche, perché ci sono altri Paesi in condizioni simili alle nostre e allora la procedura diventerebbe un male comune e non uno stigma, che è quel che ti penalizza sui mercati».

 

 

NOI E L’EUROPA

Perché allora il professor Prodi ieri ha lanciato l’allarme affinché il governo non isoli l’Italia in Europa, c’è questo rischio? 
«C’è chi sostiene che il governo dovrebbe sforzarsi di fare fronte comune con Francia e Spagna, che hanno problemi di debito simili ai nostri (anche se in modo meno acuto) e che questo ci aiuterebbe a togliere alcune voci, come quella delle spese per la transizione ecologica, dal computo del deficit pubblico. Io credo però che in ogni caso sarà molto difficile che i Paesi frugali concedano sconti di questo tipo, perché se inizi ad accettare eccezioni poi non sai fin dove arriverai».
Quali problemi potremmo avere? 
«Nell’ipotesi del governo il debito pubblico è previsto costante al 140% del Pil. Io penso che invece crescerà un po’ nei prossimi tre anni perché le ipotesi del governo sul Pil, sia in termini di produzione reale e inflazione, sono troppo ottimistiche, soprattutto per il 2024».

 

IL GOVERNO

Il governo di centrodestra è spesso attaccato dall’opposizione, che lo reputa privo di credibilità in Europa e sui mercati: è davvero così? 
«No. Direi che la mancata bocciatura dell’Italia è anche merito di questo governo, nel senso che non ha fatto errori clamorosi».
Quindi lei promuove la Finanziaria? 
«Non è un disastro ma a me non piace molto, perché non accenna a un serio taglio delle spese inutili nel medio termine, non interviene sul debito pubblico, che resta fisso, se va bene, al 140% del Pile prevede sconti fiscali solo a tempo».

 

GLI OSTACOLI

Cosa zavorra i nostri conti?
«Negli ultimi cinque anni i governi hanno portato il deficit pubblico dall’1,6% al 4,3% del Pil, aumentando la spesa e tagliando le entrate, nonostante la crisi Covid sia ormai superata. Così il debito non si può ridurre. Per di più è cambiata la natura della spesa: lo Stato sempre più è un erogatore di denaro più che un erogatore di servizi. Per esempio la sanità è stata sacrificata dal bilancio del 2023 e da quello del 2024».
E redditi di cittadinanza e superbonus? 
«Bisogna riconoscere a questo governo il merito di aver tolto il reddito di cittadinanza, che era proprio mal concepito, anche se un sostegno a chi non trova lavoro va dato, meglio gestendolo a livello locale, e il superbonus, una misura sbagliata perché esagerata».

 

CONTI IN ORDINE

Lei è mister spending-review, allontanato perché il governo successivo a quello che l’aveva chiamata non voleva tagliare le spese: perché questa ritrosia, per timore di far collassare il Paese?
«Se i risparmi di spesa fossero utilizzati, almeno in parte, per ridurre le tasse o aumentare le spese prioritarie non ci sarebbe nessun collasso, anzi le cose migliorerebbero».
E allora, è mera questione di consenso? «Molto di consenso e un po’ anche di organizzazione: rimodulare la spesa in senso efficiente richiede annidi lavoro senza alcun incasso immediato nelle urne».

 

INFLAZIONE

Ci aiuterà con il debito pubblico l’inflazione tornata sotto controllo... 
«L’inflazione ha beneficiato i conti pubblici erodendo il valore dei titoli in circolazione. In ogni caso, bisogna dire che alla fine forse la Banca Centrale Europea e le altre banche centrali non hanno perso la scommessa: aumentare il costo del denaro era il solo modo per frenare l’inflazione, dovuta a un eccesso di domanda a livello mondiale che ha causato il boom delle materie prime. In Europa siamo riusciti a riportare l’inflazione sotto il 3% senza andare in recessione, il vero successo è questo».
Quindi ritiene il pericolo scampato? 
«Sì, sono ottimista. Penso che nel giro di quattro-sei mesi la Bce tornerà a tagliare il costo del denaro per ridare fiato all’economia».

 

SCIOPERO

Perché lo sciopero generale di venerdì è fallito? 
«Mancava l’argomento forte, il casus belli. Lo sciopero generale è una bomba atomica, non puoi ogni anno decretarlo perché non ti piace la Finanziaria. Era uno sciopero ingiustificato, con il quale alcuni sindacati volevano ricordare la propria esistenza. Temo abbiano avuto un effetto boomerang».
Cosa avrebbero dovuto fare i sindacati? 
«La Cisl ha indetto una giornata di protesta di sabato, senza partecipare allo sciopero generale. In generale, credo che i sindacati dovrebbero tornare alle battaglie per i lavoratori: nel 2022 le imprese hanno fatto grandi profitti ma le buste paga sono rimaste basse. Se vuoi far ripartire l’economia devi alzare gli stipendi, le imprese dovrebbero capirlo, non puoi solo fare la battaglia contro le tasse troppo alte».

 

IL TEMA LAVORO

Perché nell’ultimo quarto di secolo gli stipendi italiani sono quelli che sono cresciuti di meno in Europa?
«Perché l’Italia è cresciuta meno degli altri Paesi. Siamo infatti ultimi anche nella classifica della crescita dei profitti. Nel 2022 però, come ho detto, i profitti sono aumentati e credo ci sia spazio per condividere questi maggiori profitti con i lavoratori. Credo che questo dovrà accadere, per il bene anche degli imprenditori: i margini per alzare i salari adesso ci sono».
Come mai ci sono tanti posti di lavoro vacanti? 
«Perché il tasso di disoccupazione è più basso della media storica italiana, anche se le statistiche sono in parte falsate dal fatto che basta lavorare un’ora in una settimana per essere considerato occupato. Ma il motivo principale è che c’è un’incapacità di incrociare domanda e offerta di lavoro, mancano figure specializzate».

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