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Sergio Marchionne, l'eredità: dalla crisi alla svolta della fabbrica modello

Michele Zaccardi
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Motori per aerei, Lancia Delta, Alfasud, Alfa Sprint. E poi, dal 2011, Fiat Panda. Fino a tornare a produrre vetture Alfa Romeo, come la Tonale, e la Doge Hornet, destinata al mercato americano. In mezzo, tanti premi vinti, in seguito al rilancio avviato da Sergio Marchionne nel 2010. Ma adesso, lo storico stabilimento di Pomigliano d’Arco, vicino a Napoli, è a rischio. 

Il motivo lo ha spiegato l’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares: servono sussidi pubblici, e in tempi rapidi, per l’acquisto di veicoli elettrici, altrimenti il sito potrebbe chiudere. Una minaccia al governo Meloni, che pure, di soldi, sul piatto ne ha messi parecchi. Quasi un miliardo di euro solo per quest’anno. Il tutto mentre, da inizio febbraio, la produzione della Tonale si è fermata diverse volte per la mancanza di meccanici. E mentre Stellantis ha deciso di far produrre la Panda elettrica in Serbia, invece che a Pomigliano, l’unico stabilimento del gruppo in Italia che ha cominciato l’anno senza ricorrere agli ammortizzatori sociali.

AVANGUARDIA
Ma il punto che squalifica le rimostranze di Tavares è che quella di Pomigliano è una fabbrica modello. Tanto che nel 2013 - dopo aver fatto incetta di medaglie d’oro e d’argento da parte del World Class Manufacturing (ben tre) ed essersi aggiudicata il premio per due anni di fila come miglior stabilimento d’Europa (2012 e 2013) – è stata visitata dai tecnici della Volkswagen per studiare le tecnologie e l’efficienza dei processi di automazione industriale. Avanguardia, in altre parole.

Ma prima della storia, un po’ di numeri. 215mila le auto prodotte l’anno scorso, 1,4 milioni solo le Fiat Panda sfornate tra il 2010, data del rilancio della fabbrica, e il 2022, oltre 5 milioni di veicoli dal 1968, quando venne fondata. Ora, a Pomigliano lavorano 4.509 persone, cui si aggiungono altre mille trasferite da Melfi, Cassino e Pratola Serra, per un indotto che vale 10mila addetti. Un vero e proprio polmone che dà ossigeno all’economia del napoletano da oltre cinquant’anni.

Lo stabilimento Giambattista Vico, rinominato così nel 2008, è stato fondato nel 1968 dall’Alfa Romeo, insieme a Finmeccanica (con il 10% del capitale) e Iri (2%), col nome Alfasud, dal modello che lì veniva prodotto, sulle ceneri di un centro industriale aeronautico, costruito sempre dal Biscione negli anni ’40 per sostenere lo sforzo bellico con la produzione di motori aerei. Distrutto il 30 maggio del ’43 da pesanti bombardamenti, con il tempo il sito ha affiancato all’attività principale l’assemblaggio di veicoli commerciali e, tra il 1962 e il 1964, della prima automobile: la Renault 4, prodotta su licenza da Alfa Romeo.

Verso la fine del decennio, con la chiusura dell’aeroporto e della produzione aeronautica, la dirigenza decise di trasformare il complesso campano in una vera fabbrica di automobili, che venne ribattezzata Alfasud nel ’68. La produzione partì quattro anni più tardi, nel ’72. I primi anni non furono facili, con le battaglie sindacali che rendevano complessa la gestione della forza lavoro e la crisi petrolifera del ’73 che colpì il settore dell’auto, ma l’elevato livello tecnico permise di raggiungere una produzione di tutto riguardo: all’Alfasud, quasi 900mila le unità realizzate, hanno fatto seguito una dinastia di eredi che annovera la 33, la 145, la 146 e la 147.

Nel 1986, in seguito alla cessione da parte dell’Iri dell’Alfa Romeo al gruppo degli Agnelli, lo stabilimento entrò nell’orbita della Fiat. Nel 2008, dopo la trasformazione di Fiat in Fiat Group, è arrivata la nuova denominazione di “Stabilimento Giambattista Vico”. La produzione delle Alfa si è avviata alla conclusione tra il 2010 e il 2011, quando il marchio ha ridotto la gamma e assegnato i pochi nuovi modelli alle fabbriche del Centro-Nord, mentre a Pomigliano è partita quella della Fiat Panda di terza generazione, di cui in circa dieci anni sono stati costruiti oltre 1,4 milioni di esemplari.

LA RINASCITA
Una svolta resa possibile dall’accordo tra Fiat e sindacati siglato il 22 giugno 2010, quando i lavoratori dello stabilimento approvarono il piano industriale redatto da Sergio Marchionne con l’obiettivo di rivoluzionare la gestione organizzativa e produttiva dell’azienda. Con il rimpatrio della produzione della Panda dalla fabbrica polacca di Tichy a Pomigliano (e successivamente della produzione delle Jeep a Melfi), in una situazione di mercato particolarmente critica per l’industria dell’auto, Marchionne scommetteva sul rilancio della manifattura nazionale. 

In cambio chiedeva ai sindacati impegni precisi su orari di lavoro e aumento della produttività. Elementi che permisero di conseguire nel 2017 del livello di eccellenza del sistema World Class Manufacturing. Una storia gloriosa, insomma, che ha fatto di Pomigliano il fiore all’occhiello industriale del Meridione. Ma che ora viene messa a rischio dalle decisioni di Stellantis.

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