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Elkann, esplode la rabbia: "Nessun tesoro nascosto"

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Adriano Bascapè
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Tre brevi schede scritte a mano: l'insieme dei testamenti olografi di Gianni Agnelli, punto di partenza della battaglia ingaggiata dalla figlia Margherita sull'eredità paterna, era tutto qui. I fogli furono letti a Torino il 24 febbraio 2003, esattamente un mese dopo la morte dell’Avvocato, nello studio del notaio Ettore Morone: nei giorni scorsi la procura ha incaricato la guardia di finanza di visitarne la sede legale. Ma non per recuperare quelle carte, il cui contenuto è conosciuto da tempo. L’obiettivo dei pubblici ministeri è ricostruire la parte del patrimonio che, al netto di vari passaggi di proprietà e di quote societarie, rimase nelle mani della moglie di Agnelli, Marella Caracciolo, morta il 23 febbraio 2019 a 92 anni, per capire se e quante tasse avrebbe dovuto pagare in Italia. Ed è per questo che sono alla caccia degli originali di almeno 14 documenti, datati fra il 2004 e il 2018.

Il pool di avvocati che assiste John Elkann, figlio di Margherita, indagato a Torino dopo l'esposto presentato dalla donna, affermano che non esiste alcun tesoro «nascosto». «I fondi sono stati regolarmente pagati al fisco dal nostro assistito, che ha pagato le imposte dovute e continuerà a farlo». Le schede di Gianni Agnelli non dicevano nulla sull’ammontare degli averi di famiglia. Con la prima, redatta il 12 dicembre 1983, l’Avvocato prelegava «l’usufrutto delle azioni Gapi spa a mia moglie Marella Caracciolo» osservando che il prelegato era «da intendersi a carico di tutta l’eredità ed è a prelevarsi prima di ogni altra ripartizione». Con la seconda scheda del 14 gennaio 1985, Agnelli nominava «esecutore testamentario l’avvocato Franzo Grande Stevens». La terza, del 20 aprile 1999, riguardava le proprietà immobiliari. La villa sulla collina di Torino, è legata «per l’usufrutto vitalizio a mia moglie Marella e per la nuda proprietà ai miei due figli Margherita e Edoardo (che però morì nel 2000 a 46 anni ndr) in parti uguali», così come le proprietà di Villar Perosa (Torino). Una palazzina a Roma, in via XXIV maggio 14, è legata «per l’usufrutto vitalizio a mia moglie Marella», e altre costruzioni sulla collina torinese a Edoardo.

 

 

Il 2 marzo 2004, Margherita siglò un'intesa con la madre: rinunciava alle partecipazioni nelle società di famiglia in cambio di 109 milioni in contanti e beni per circa 1,1 miliardi. Tre anni dopo impugnò l’accordo sostenendo che una parte consistente del patrimonio le era stata nascosta. Nel frattempo le cose andarono avanti senza di lei. Già il 19 maggio 2004, poche settimane dopo, Marella cedette la nuda proprietà di una quota nella Dicembre, la holding che controlla tutte le società di famiglia, a John, Lapo e Ginevra Elkann. Ed è già su questo primo passaggio che si appuntano le perplessità degli inquirenti: la declaratoria con la scrittura privata che certificava la mossa di Marella è del 2021. Non solo: il pagamento delle quote, che risulta effettuato con disposizione alla Gabriel Fiduciaria e un conto nella banca ginevrina Pictet & Cie, «allo stato non è documentato».

Il faro è acceso anche sul testamento di Marella, da cui Margherita, per effetto dell’accordo del 2004, è rimasta esclusa. È stato redatto il 12 agosto 2011. Ma poi è stato integrato nel 2012 e nel 2014. E qui, facendo propri i sospetti di Margherita, i pm parlano di «natura ragionevolmente apocrifa» delle firme di Marella. «Ma l’attuale assetto di Dicembre - intervengono gli avvocati di John Elkann - è stato definito 20 anni fa e riflette la precisa volontà di Gianni Agnelli. Volontà arcinota a accettata da tutti gli interessati quanto era ancora in vita». Il lavoro dei magistrati torinesi sarà impegnativo. La Gabriel Fiduciaria, quella che si occupò del pagamento delle quote di Dicembre, è finita in liquidazione nel 2016 e tre anni dopo è stata cancellata dal registro delle imprese. Nel 2013, in uno dei mille rivoli giudiziari generati dalle mosse di Margherita, la procura di Milano fece un tentativo e alla fine si arrese. Non senza prendere nota che «molteplici indizi portano a ritenere verosimile l’esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Gianni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati definiti».

 

 

 

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