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Il governo ha difeso le gomme dai cinesi, ora vogliamo consegnargli l'auto?

Sandro Iacometti
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La chiarezza (e fors’anche la coerenza) continua a difettare. Ieri il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha spiegato in Parlamento che sono in atto grandi manovre per mettere all’angolo Stellantis e disinnescare la minaccia di un suo progressivo disimpegno in Italia con l’arrivo di altri produttori. Come del resto avviene in molti altri Paesi. Tra i soggetti attenzionati dal governo ci sarebbe il colosso americano delle auto elettriche Tesla, con cui le interlocuzioni, ha spiegato Urso, vanno avanti da mesi. Uno scenario tutt’altro che fantascientifico considerata l’intesa tra Giorgia Meloni ed Elon Musk, che poco prima di Natale fa si è addirittura presentato con prole alla kermesse di Fdi Atreju. Ma tra le società a cui l’Italia avrebbe bussato ci sarebbero anche tre case automobilistiche cinesi. Una è proprio la rivale di Tesla, il colosso Byd, che dal Salone di Ginevra ha ammesso i contatti, anche se non recenti, con emissari di Palazzo Chigi. Le altre due dovrebbero essere Chery e Geely (che tra l’altro controlla anche la svedese Volvo). Ma i nomi poco importano.

Quello che conta, in questo caso, è la nazionalità di provenienza. Per carità, Urso ha rassicurato che nessuno si farà infinocchiare dal Dragone. Nelle trattative è stato sempre messo bene in chiaro che venire in Italia significa spostare sul territorio nazionale l’intera catena di fornitori, dalla componentistica alle batterie. Una precisazione doverosa perché, come ha detto lo stesso Urso davanti alla Commissione attività produttive della Camera, la nostra filiera produttiva che gira intorno all’auto dà lavoro a circa 1,2 milioni di addetti e vale il 10% di tutta la manifattura e il 5,2% del nostro Pil. Insomma, è una roba con cui non si scherza.

 

 

 

Ora, lasciamo stare le strampalate critiche d’ordinanza arrivate da Pd e M5S, che fino a ieri hanno flirtato con Pechino firmando disastrosi accordi sulla Via della seta o lavorando alla supercar italo-cinese che doveva nascere nella motor valley della prodiana Emilia (Silk-Faw). E lasciamo stare anche l’allarme lanciato qualche giorno fa da Ursula von der Leyen, che ha chiesto e ottenuto una indagine di Bruxelles proprio in merito al dumping asiatico, sull’invasione delle auto del Dragone.

E, infine, mettiamo da parte pure il monito arrivato solo 48 ore addietro da Mario Draghi, che peraltro non è sfuggito a Urso, visto che ieri lo ha citato («come può l’Unione europea continuare con dazi di importazione dalla Cina sulle auto al 10%, mentre gli Stati Uniti hanno dazi al 27%»), invocando un piano industriale europeo per difendersi dalla concorrenza estera nell’automotive.

 

 

 

Epperò non si può ignorare quanto contenuto nella relazione presentata ieri dai nostri 007 sull’attività e le minacce dell’anno appena trascorso. Soprattutto nella parte in cui si legge che «il monitoraggio dell’intelligence ha riguardato i settori siderurgico e automobilistico, particolarmente interessati dalle rimodulazioni delle catene globali del valore». Sull’auto in particolare, «dalla natura sempre più strategica per l’utilizzo di beni dalla forte valenza geoeconomica (quali semiconduttori e batterie, nonché tecnologie avanzate, come robotica, automazione e intelligenza artificiale), l’attenzione si è concentrata sulle possibili evoluzioni degli assetti proprietari dei primari attori nazionali, determinate dalle dinamiche di competizione e aggregazione globali, nonché da campagne di penetrazione del mercato europeo», considerando, nondimeno, «la necessità di preservare il pregiato know-how del tessuto industriale nazionale».

Per carità, forse gli agenti segreti esagerano ed ingigantiscono, ma sembra di capire che in ballo non ci siano solo posti di lavoro o un pezzo di Pil (che pure contano parecchio), ma interessi nazionali strategici e questioni geopolitiche ben più rilevanti per la collocazione internazionale dell’Italia e la sua sicurezza. Del resto, solo la scorsa estate, proprio sulla base di valutazioni simili, il governo ha bloccato con il golden power il tentativo dei cinesi di prendere il sopravvento nella governance di Pirelli, sostenendo che persino negli pneumatici ci sono tecnologie sensibili, sensori, software di controllo e altre diavolerie moderne che sarebbe meglio non condividere con gli ingegneri di Pechino. Ora, considerato che le auto ormai hanno più apparecchiature informatiche e digitali di pc e telefonini e saranno presto controllate dall’intelligenza artificiale, abbiamo difeso coi denti le ruote e vogliamo consegnargli intere vetture?

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