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Stellantis, gli Elkann sbagliano ma la colpa è della Ue: così la Cina ci invade

Sandro Iacometti
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Il tempo è scaduto. E non solo per Mirafiori e Pomigliano, dove si inizia inevitabilmente a scatenare la rabbia dei lavoratori. Mentre Bruxelles continua con tutta la calma del mondo ad indagare sulle presunte pratiche scorrette e anticoncorrenziali di Pechino (l’istruttoria è partita a settembre e lo scorso dicembre la presidente Ursula Von der Leyen ha dichiarato che «ci vorrà ancora del tempo»), la Cina nel è diventata ufficialmente nel 2023 il maggior esportatore mondiale di auto, superando per la prima volta il Giappone.

Un primato dovuto per buona parte alla clamorosa espansione del colosso dell’elettrico Byd, che ha sorpassato la Tesla per vendite mondiali e ha già firmato i contratti per la realizzazione di una mega fabbrica in Ungheria, il primo impianto produttivo cinese entro i confini dell’Europa. Insomma, a differenza della Schlein, l’invasione è impossibile non vederla arrivare. Anche perché la guerra Ue ai motori endotermici non ha fatto altro che accelerare il processo già in atto.

 

 

 

Intendiamoci, le responsabilità degli Agnelli-Elkann, foraggiati per decenni da sussidi pubblici che secondo alcune stime superano i 200 miliardi di euro, non si discutono. Continuare a mettersi i soldi in tasca e spostare progressivamente la produzione nell’Est europeo, in Nord Africa e in Spagna è una strategia che non può essere condivisa, né giustificata. Epperò c’è dell’altro. Se Roma piange, infatti, non è che a Parigi si facciano delle gran risate. Malgrado la robusta presenza dello Stato in Stellantis (il 10% dei diritti di voto) e un rappresentante nel cda, anche la Francia è alle prese con lo sbaraccamento della produzione.

Secondo i dati di S&P raccolti dal quotidiano Les Echos (e ripresi da Mf) il numero di veicoli usciti dalle linee di assemblaggio transalpini di Stellantis è diminuito di quasi il 40%, passando da 1,2 milioni a 737mila nel 2023, mentre nel frattempo gli impianti italiani ex Fiat hanno fatto segnare un -8% da poco più di 800 mila a circa 750 mila. E nel 2023 la produzione italiana di Stellantis è aumentata dell’11% a 748.270 unità, sempre secondo S&P, e ciò ha consentito all'Italia di superare la Francia di alcune migliaia di auto.

Il governo italiano vorrebbe un milione di auto prodotte negli impianti ex Fiat, ma S&P Global stima al contrario una diminuzione del 12% dei volumi nel 2024, seguita da un ulteriore calo del 6% nel 2025. Ma non se ne avvantaggerà la Francia, che dovrebbe vedere i suoi volumi aumentare del 2% quest’anno per poi stabilizzarsi intorno a 730 mila unità nel 2025.

 

 

 

AFRICA ED EST EUROPA

A crescere saranno altri Paesi, a partire dalla Spagna, dove già si producono oltre un milione di auto Stellantis. Poi Marocco e Turchia, che sono a circa 400mila unità. E infine l’area con più margini di crescita: Serbia, Slovacchia e Polonia. Sempre secondo S&P la produzione dell’Europa dell’Est entro il 2025 dovrebbe superare i livelli sia italiani sia francesi sfornando circa 800mila veicoli, con una crescita rispetto ad oggi del 38%. Se questo è lo scenario, è chiaro che non basteranno le minacce del ministro delle Imprese Adolfo Urso, peraltro finora restate tali, di rendere selettivi gli incentivi all’acquisto. E forse non basterebbe neanche cedere alle richieste di Stellantis, che vuole sconti sull’energia e colonnine elettriche ad ogni angolo di strada.

L’errore è stato fatto a monte e non c’entra niente la politica industriale dell’attuale maggioranza di governo, che peraltro all’epoca della nascita di Stellantis aveva lanciato più di un allarme mentre da Palazzo Chigi il centrosinistra applaudiva alla grande opportunità per il Paese. Il punto, e di questo bisogna dargliene atto, è quello che solleva da anni proprio Carlos Tavares.

 

 

 

LE ACCUSE DI TAVARES

Sì, lui, il terribile ad portoghese che minaccia di chiudere i nostri stabilimenti se il governo non sgancia i quattrini. Mentre John Elkann fa il poliziotto buono. E si mette i suoi abiti migliori per i suoi rassicuranti pellegrinaggi istituzionali, che nei giorni scorsi lo hanno portato fino a al Colle, Tavares è uno che non le manda a dire. E non solo al governo italiano. «La decisione dogmatica che è stata presa di vendere solo auto elettriche dal 2035 ha conseguenze sociali ingestibili», ha dichiarato a ottobre del 2022, invitando la Ue al pragmatismo proprio per evitare la perdita di posti di lavoro e il rischio di «negare alla classe media l’accesso alla libertà di movimento» a causa dei costi troppo elevati delle auto elettriche. Quanto alla possibilità che siano altri Paese a garantire questa libertà, Tavares è stato altrettanto chiaro: «Credo si debba chiedere all’Ue di rafforzare il mercato europeo dinanzi ai produttori cinesi». Tutta colpa di Bruxelles, dunque? In parte sì. Ma questo non assolve di certo Elkann che ieri, come se nulla fosse, si è rivolto tranquillamente al mercato per piazzare un bond di Exor a 9 anni da 650 milioni. Soldi che, probabilmente, finiranno ovunque tranne che in Italia. Dove saranno quotate le obbligazioni? A Lussemburgo, ovviamente. 

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