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Giorgetti, scontro con Gentiloni: "C'è una guerra, qualcuno non si è accorto"

Fausto Carioti
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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza diventa argomento di campagna elettorale, e dunque di polemica tra governo e opposizione. Non la solita baruffa, perché in ballo ci sono 200 miliardi di euro da spendere e perché il piddino Paolo Gentiloni, uno dei due protagonisti della vicenda, sarà all’opposizione in Italia, ma intanto in Europa ha il peso che spetta ad un commissario per gli Affari economici e monetari, incarico che manterrà sino all’autunno prossimo. Ed è in questa veste che ieri si è fatto portavoce della linea contraria a quella del governo italiano, sentenziando che «l’attuazione tempestiva dei Pnrr è essenziale, perché la scadenza del 2026 è fissa». Stessa linea ribadita dal “falco” Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione: quella del 2026 è «la data limite».

L’altro protagonista è il leghista Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, che la pensa come il resto dell’esecutivo di Roma, ossia - appunto - all’opposto di Gentiloni: chiede che gli Stati Ue abbiano più tempo per rispettare gli impegni concordati con Bruxelles, perché rispetto al 2021, quando il Pnrr fu approvato, troppe cose sono cambiate. Giorgetti lo ha detto ieri nei termini più chiari, alla fine del consiglio dei ministri che ha approvato il Documento di economia e finanza 2024: «Io la proposta l’ho già portata. Mi consigliano di non insistere, ma io insisto.

 

 

Da quando è stato approvato il Pnrr è scoppiata una guerra in Europa, forse qualcuno non se ne è accorto». Quando i giornalisti gli fanno presente la posizione del commissario proveniente dal Pd, il leghista risponde che «Gentiloni fa il commissario, la Lagarde fa la governatrice della Bce, io faccio il ministro dell’Economia. Posso esprimere un mio auspicio? È una bestemmia?». Alta tensione, insomma.
Gentiloni, peraltro, in Europa non è il solo a remare in quella direzione. Giorgetti stesso lo riconosce: «È abbastanza chiaro che dietro al no alla proroga del Pnrr al 2026 c’è la volontà di moltissimi Paesi di evitare di replicare in alcun modo l’esperienza del Next Generation Eu», lo strumento per la ripresa post-pandemica usato per finanziare il Pnrr. «C’è un largo fronte di Paesi europei, cioè, che non vuole che sia il debito a finanziare certi progetti». Motivo per cui lo stesso ministro sparge diserbante sugli scenari ispirati da un eccessivo entusiasmo: «Sento parlare di debito pubblico europeo e altre cose, ma l’aria che tira nel consesso europeo, in questo momento, è largamente maggioritaria in senso contrario. Purtroppo, dico io, ma questa è la realtà».

Un motivo di speranza c’è, ma occorre aspettare il voto di giugno. «La prossima commissione, forse, valuterà diversamente», auspica Giorgetti. È la frase che riassume i desideri di tutto il governo italiano. Il futuro esecutivo Ue sarà diverso da quello attuale, ed è probabile che cambi anche la maggioranza che nell’europarlamento sostiene la Commissione e traccia la linea politica dell’Unione; i conservatori europei guidati da Giorgia Meloni, ad esempio, dovrebbero fare un bel balzo in avanti. Inoltre, in Germania e altrove, l’irrigidimento dei partiti di governo dinanzi all’ipotesi di venire incontro all’Italia (e ad altri Stati) sul Pnrr, è ritenuto fisiologico in campagna elettorale, quando ognuno ha il bisogno di mostrarsi intransigente dinanzi ai propri elettori, ma non è detto che duri dopo il voto, quando potrebbe lasciare il posto a spazi di trattativa oggi impossibili.

 

 

IL NODO DEI COMMISSARI
È ciò in cui confida Meloni, che tra pochi mesi sarà chiamata a scegliere chi indicare come commissario e se far entrare gli europarlamentari di Fdi (circa 25, secondo le proiezioni) nella prossima maggioranza. Per l’Italia, visti i suoi conti pubblici, sarebbe importante avere un personaggio forte ed in sintonia col governo su una delle poltrone che contano nella gestione dell’economia.
Il nome più accreditato è quello dell’attuale ministro di Fdi Raffaele Fitto, che è stato europarlamentare per dieci anni e a Roma ha gestito nel modo migliore il dossier del Pnrr. È ritenuto “papabile” anche lo stesso Giorgetti, che spostandosi in Europa, magari per prendere la poltrona di Gentiloni, potrebbe lasciare il dicastero dell’Economia al viceministro Maurizio Leo, di Fdi, che ieri lo ha affiancato davanti ai giornalisti: ipotesi che ambedue hanno smentito, per quanto valore possa avere la smentita su una partita che ancora non è iniziata.

Si chiama fuori pure il ministro Guido Crosetto, dato da alcuni giornali come possibile responsabile della Difesa nella futura Commissione. Chi ne ha parlato con lui spiega che al momento la figura del commissario Ue alla Difesa non esiste e che la premier ha candidati autorevoli da presentare per altri ruoli. Del resto, quando Meloni dice che «è normale e giusto che i commissari tengano un occhio di riguardo verso la nazione che rappresentano, e sarei contenta se accadesse anche per l’Italia», si sa che è di Gentiloni che si sta lamentando. E che è al suo incarico, o ad uno altrettanto cruciale per le “sinergie” di politica economica tra Roma e Bruxelles, che pensa.

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