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Alfa Milano, ecco perché l'auto polacca ha cambiato nome

Sandro Iacometti
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Prima Brennero, poi Milano, adesso Junior. Alla saga tragicomica di Stellantis, che vuole fuggire dall’Italia senza darlo a vedere, si aggiunge un altro capitolo. Solo la scorsa settimana il nuovo Suv del Biscione, marchio celebrato dal ceo del gruppo Carlos Tavares come un vanto dell’Italia, che lui ha difeso con le unghie da una concorrenza agguerrita che glielo voleva strappare via, era stato presentato in pompa magna nel capoluogo lombardo proprio per sottolineare il forte legame tra l’auto e il suo territorio di origine. Il nome, del resto, non lasciava margini di errore: Milano (preferito a Brennero, forse perché suonava troppo altoatesino). Peccato, però, che l’unica cosa italiana della nuova auto sfornata dagli Agnelli-Elkann, grandi azionisti di Stellantis insieme ai francesi, fosse proprio quella, il nome.

Per carità, Tavares ha provato a spiegare che l’ideazione, il design e l’ingegnerizzazione del veicolo sono frutto del talento tricolore. Anche credendogli sulla parola, però, resta il fatto che la vettura sarà assemblata in Polonia, nello stabilimento di Tychy che già realizza la nuova Fiat 600 (altro marchio iconico), utilizzando una piattaforma francese e componenti in gran parte stranieri. Una mossa non azzeccatissima mentre infuria la polemica con i sindacati per il crollo della produzione negli stabilimenti italiani, i lavoratori scendono in piazza per difendere Mirafiori e il suo indotto e il governo ha avviato una maratona serrata di incontri con il gruppo per ottenere l’impegno che i generosi incentivi pubblici saranno utilizzati per riportare le auto realizzate in Italia al milione di unità rispetto alle 600/700 mila attuali. Di qui i rilievi fatti prima dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, e poi da quello delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Con il primo che ha anche ricordato che con quel nome l’auto non può essere prodotta in Polonia, perché c’è una legge del 2003 sull’italian sounding, che vieta di dare indicazioni che inducano in errore il consumatore. Ebbene, che si fa? Si riporta il Suv Milano a Cassino, dove vengono prodotti almeno fino al 2026 («poi si deciderà») Giulia e Stelvio? Macché, si cambia nome e via. Certo, l’azienda probabilmente aveva già preparato il lancio, commissionato claim, slogan, spot pubblicitari, cartelloni. Ma sul piatto ci sono risparmi non trascurabili.

 

 

Come ha detto Tavares, «Se costruita in Italia, una Milano sarebbe partita da circa 40.000 euro di prezzo anziché da 30.000». Strada obbligata, dunque. Ed ecco l’annuncio del capo di Alfa Romeo Jean-Philippe Imparato: «Pur ritenendo che il nome Milano rispetti tutte le prescrizioni di legge, e in considerazione del fatto che ci sono temi di stretta attualità più rilevanti del nome di una nuova auto, decidiamo di cambiare il nome da Milano a Junior, nell'ottica di promuovere un clima di serenità e distensione». Poi, spazio alle battute: «Abbiamo lanciato due modelli in pochi giorni, siamo unici». La chicca? Ieri la Fiat ha annunciato che nel 125esimo anniversario è partner di Torino Capitale della cultura d’Impresa 2024. Dove il piatto forte è la “cultura d’impresa”.

 

 

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