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Germania "in agonia": Pil sempre più giù, cosa sta per succedere

Sandro Iacometti
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«Solo qualche giorno fa, quando si è trattato di decidere se l’Europa deve mostrare un po’ di muscoli contro lo strapotere cinese sull’auto, la Germania ha scelto di votare contro i dazi. Berlino, è la giustificazione, non vuole aprire una guerra commerciale col Dragone. Per carità, tutti sanno quanto sia importante per l’industria tedesca delle quattroruote il mercato asiatico. E quali potrebbero essere le conseguenze di un muro contro muro con Pechino. Epperò la Germania è anche il Paese, che difende il green deal che sta mandando in panne il colosso nazionale Volkswagen, che rema contro l’unione bancaria (anche ostacolando la fusione tra Unicredit e Commerzbank), che si oppone a qualsiasi forma di debito comune per finanziare la transizione ecologica e digitale tutelando la competitività delle imprese, che chiede austerity e rigore nei conti pubblici degli Stati membri.

Una volta, forse, alcuni di questi atteggiamenti potevano avere senso. La Germania era l’economia più forte del Continente, quella con i bilanci in ordine e l’industria in salute, la locomotiva d’Europa. Ora, però, a forza di impuntature ed errori strategici (uno su tutti legarsi a doppio filo alla Russia per le politiche energetiche), Berlino è diventato il vagone di coda.

 

 

 

Difficoltà sull’industria, sull’auto, sull’energia, sulle banche. Indici Pmi, che anticipano l’andamento economico, in costante calo sia sulla manifattura sia sui servizi. Previsioni negative da parte di tutte le istituzioni finanziarie. E soprattutto il Pil, che non vuole saperne di dare segnali di ripartenza. Anzi.

La notizia di ieri è che Berlino taglia ulteriormente le sue previsioni di crescita per il 2024 e si attende una recessione per il secondo anno consecutivo. A rivelarlo è il quotidiano Sueddeutsche Zeitung, anticipando le nuove stime che il ministro dell'Economia tedesco, Robert Habeck, si appresta a svelare mercoledì prossimo.

 

 

 

Il governo tedesco prevede che l'economia dell'ormai ex locomotiva d'Europa quest'anno si contragga dello 0,2% - un drastico peggioramento rispetto alla precedente stima che prefigurava invece una crescita dello 0,3%, riprendendo poi slancio nel 2025 con un +1,1%. La revisione è ancora in linea con le aspettative dei principali istituti di ricerca economica. Ma «invece di acquisire slancio, l'economia continua a essere caratterizzata da una generale riluttanza dei consumatori a spendere», spiega Sueddeutsche Zeitung, evidenziando che i venti contrari arrivano mentre la Germania affronta anche sfide strutturali, tra cui una maggiore concorrenza dalla Cina, una carenza di lavoratori qualificati e una complessa transizione verde.

Poco più di una settimana fa i principali istituti economici tedeschi Ifo, Diw, Ifw Kiel, Halle e Rwi-Leibnitz avevano abbassato la stima di crescita da +0,1% a -0,1% e però avevano peggiorato anche quelle della ripresa, con +0,8% per il 2025 (sei decimali in meno rispetto alle stime di primavera). Il governo per ora sembra restare ottimista. Il 9 ottobre il ministero Habeck indicherà una crescita dell'1,1% per il prossimo anno, rivedendo leggermente al rialzo la previsione precedente dell'1%. Ed entro il 2026, si prevede che l'economia si espanderà addirittura dell'1,6 percento. «L'iniziativa di crescita» proposta dal governo nei suoi piani per i conti pubblici ha «un ruolo chiave da svolgere perla ripresa», ha detto ancora il ministro al quotidiano tedesco. Le misure includono agevolazioni fiscali, prezzi dell'energia permanentemente ridotti per l'industria, meno burocrazia e incentivi per mantenere le persone più anziane nella forza lavoro, nonché per attrarre lavoratori qualificati stranieri.

 

 

 

«L'economia tedesca può crescere in modo significativo e più forte nei prossimi due anni se le misure saranno pienamente implementate», ha sottolineato il titolare dell'Economia. Resta da capire chi le implementerà, visto che il partito del cancelliere Olaf Scholz, l’Spd, tranne l’ultimo testa a testa con l’Afd in Brandeburgo, continua a prendere sberle elettorali, che i Verdi sono in piena fibrillazione e che le voci di una crisi di governo si fanno sempre più insistenti.

Per carità, tutto il Vecchio continente sta rallentando, con una domanda frenata da tassi ancora troppo alti che, in assenza ormai di un pericolo inflazionistico, la Bce dovrebbe sbrigarsi a ridurre. Ma è anche vero che buona parte dei problemi, almeno sull’industria, arrivano proprio dallo stallo della Germania, con cui le principali economie europee hanno un fortissimo interscambio commerciale. Sarebbe troppo chiedere che Berlino rinneghi tutte le sue politiche sostenute negli ultimi anni. Ma prendere almeno atto del pantano in cui il Paese sta affondando e smetterla di fare i primi della classe, tentando di imporre a tutti le regole che lo stanno trascinando verso il baratro, forse potrebbe essere un buon inizio.

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