Davide Tabarelli: "Serve diversificare, sì a nucleare e fossile"

di Pietro Senaldisabato 1 marzo 2025
Davide Tabarelli: "Serve diversificare, sì a nucleare e fossile"
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 «Ci sarà un futuro senza più problemi di approvvigionamento e di rincari, quando saremo in grado di ricreare l’energia solare, mediante fusione dell’idrogeno, ma non accadrà domani».

E quando?
«Parliamo di una tecnologia allo studio, ma difficile. Se ne discute da decenni ma ancora è accaduto poco o nulla. I più ottimisti stimano che si possa arrivare a qualche risultato concreto per il 2040, ma io prevedo tempi più lunghi».

Nel frattempo cosa facciamo?
«Andiamo avanti meglio che possiamo, come già in parte stiamo facendo: abbiamo quattro rigassificatori in funzione, un quinto è arrivato ieri a Ravenna e sarà allacciato alla rete ad aprile. Il punto è che qualsiasi iniziativa, anche la più rapida, richiede tre-quattro anni prima di produrre risultati».

L’obiettivo da perseguire?
«Bisogna diversificare al massimo le fonti di energia, aprire al nucleare certo, ma non è proprio il momento di abbandonare i fossili, dobbiamo stare attenti a mantenere la stabilità del sistema».

Il professor Davide Tabarelli aveva previsto i rincari in bolletta, «3-400 euro nel 2025, ma non sarà un anno terribile e il peggio dovrebbe essere passato: da qui in avanti si potrebbe andare incontro a una limatura dei prezzi». A tranquillizzare il fondatore e presidente di Nomisma Energia sono anche le mosse della Commissione Europea. «Se lo scenario fosse drammatico», spiega, «Bruxelles si preoccuperebbe di varare modifiche incisive della propria politica economica, invece continua a parlare di efficienza e di energia pulita». D’altronde, i prezzi sul mercato oggi sono meno della metà rispetto a fine 2023.

La Commissione Ue non è una delle principali responsabili dell’attuale rialzo dei prezzi?
«Non proprio. Il rialzo è dovuto alla congiuntura internazionale, come dai tempi delle grandi crisi del petrolio, negli anni Settanta. I prezzi scontano la guerra in Ucraina e la crisi in Medio Oriente, che hanno portato una riduzione dell’offerta del 40%. Certo l’Europa non è del tutto esente da responsabilità. Bruxelles, e anche l’Italia, è troppo distratta dal tentativo di transazione energetica e nell’attesa non fa nulla».

Quindi se la guerra in Ucraina finisse i prezzi calerebbero?
«Immagino di sì; anche se non si può certo ipotizzare che ripartano i contratti con la Russia; almeno per un bel po’ di tempo».

Non è stata proprio l’ossessione verde ad avere un effetto controproducente sulla questione energetica?
«Non mi faccia attaccare le politiche verdi. In realtà esse hanno anche un effetto positivo, perché maggiore è la produzione rinnovabile, più si riescono a contenere i prezzi. Tuttavia...».

Tuttavia, professore?
«Non servono gli ambientalisti per dire che i mulini fanno bene, lo sanno e lo condividono tutti. Il punto è che l’apporto delle energie rinnovabili arriva al 7% scarso del totale, e questo malgrado negli ultimi tre anni il loro volume sia aumentato del 30%. Se sommiamo eolico e fotovoltaico arriviamo a dodici miliardi di metri cubi, si pensi che dalla Russia ne prendevamo 29...».

Lei declina le istanze verdi squisitamente sotto l’aspetto pratico...
«Certo, consideri che il gas è tra i fossili più puliti».

Il problema allora è più politico che ambientale?
«L’ambientalismo pone ostacoli seri soprattutto a livello di politiche regionali, perché gli amministratori locali non hanno sufficiente forza per imporre progetti importanti, non si avventurano. D’altronde gli italiani non solo hanno detto no al nucleare nel famoso referendum degli anni Ottanta, ancora ai tempi di Matteo Renzi si sono opposti al referendum sulle trivelle».

Finché non si cambia testa dovremo rassegnarci a mettere mano al portafogli?
«È come il ristorante rispetto alla cucina di casa: se ti approvvigioni fuori, paghi di più».

Cosa può fare l’Italia?
«Noi scontiamo, da sempre, una strutturale debolezza nel campo energetico, perché non abbiamo materie prime e importiamo tutto, fin dai tempi dell’Impero Romano. In più abbiamo un’eccessiva dipendenza dal gas e dall’elettricità prodotta con il gas importato».

Suggeriva di diversificare le fonti...
«Sì, non solo a livello di energia ma anche di Paesi fornitori. Un po’ come quando si investe in Borsa, bisogna costruire un portafoglio variegato se non si vuole o non ci si può permettere di rischiare troppo».

Che ricette ha per l’immediato?
«Teniamo aperte le centrali di carbone».

Questo farà inorridire i verdi...
«Serve per dare un segnale ai mercati ed evitare che si inneschi una spirale rialzista. Bisogna garantire flessibilità al sistema, nel caso la prossima estate o il prossimo inverno sia necessario ricostituire le scorte».

E nel medio periodo?
«Dovremmo aumentare la possibilità d’accesso a risorse abbondanti di energia fossile, che restano fondamentali. I contratti e gli investimenti che stiamo facendo all’estero vanno benissimo, bisognerebbe farne di più anche in Italia».

 L’Italia dovrebbe decidersi a imboccare decisamente la strada del nucleare?
«Il nostro sistema è tenuto insieme da 56 centrali nucleari francesi dalle quali importiamo 50 miliardi di kilowatt ora ogni anno. Il nucleare è la prima fonte di produzione elettrica in Europa, rappresenta circa il 23% del totale. Gli italiani tutti dovrebbero andare a visitare il museo della Fisica, dietro al Viminale, nel luogo dove Enrico Fermi scoprì la fissione. Noi abbiamo una grande tradizione scientifica dai tempi di Galileo Galilei, che dovremmo deciderci a sfruttare».