Partita aperta in assemblea: alta tensione in Mediobanca

Domani il voto sui soci, dopo l’esposto sulla privatizzazione di Mps Piazzetta Cuccia teme di non ottenere il consenso necessario per l’operazione su Banca Generali
di Sandro Iacomettidomenica 15 giugno 2025
Partita aperta in assemblea: alta tensione in Mediobanca
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Difficile prevedere quale sarà l’impatto dell’improvvida irruzione dei pm nel risiko bancario, che hanno deciso di mettere sotto i riflettori alcuni dei principali attori della partita in atto, da Delfin al Gruppo Caltagirone fino a Bpm, attraverso la sua controllata Banca Akros, accusati non si capisce bene di cosa per la procedura di cessione di azioni Bpm da parte dello Stato, considerata da tutti come un successo politico e finanziario.

Quello che è certo fin da ora è che la tensione a Piazzetta Cuccia è alle stelle. Se è vero, come sembra, che l’inchiesta della procura di Milano sia partita da un esposto proveniente dall’entourage di Mediobanca, l’ingresso a gamba tesa della toghe a poche ore dall’assemblea decisiva per il futuro dell’istituto e, soprattutto, dei suoi vertici, a partire dall’ad Alberto Nagel, può voler dire solo una cosa: che la vittoria nell’assemblea di domani che dovrà decidere sull’Ops difensiva su Banca Generali è tutt’altro che certa.

La partita sarà sul filo di lana. La sensazione prevalente sul mercato è riassumibile in due concetti. Primo: l’esito appare molto incerto, “too close too call”, riassumono alcuni osservatori. Secondo: l’esito stesso dipenderà dalle scelte di alcuni soci chiave, come gli investitori istituzionali, la famiglia Benetton e taluni imprenditori, anche appartenenti al patto di consultazione.

Senza dimenticare la possibilità che spunti nel capitale di Piazzetta Cuccia anche Unicredit, da rumors delle ultime ore accreditata del 2-3%. Ieri la versione ufficiale è che la banca di Andrea Orcel abbia in carico l’1,9% del capitale, ma senza alcun obiettivo bellicoso. «L’istituto ha circa 20 miliardi di euro di flussi di capitale al giorno e detiene regolarmente posizioni per conto dei clienti e per coprire posizioni dei clienti. Questo non e' un caso diverso»., ha dichiarato un portavoce. La sostanza è che la situazione è altamente fluida e qualsiasi risultato è ancora possibile.

L’analisi dei possibili scenari del voto di domani non può che partire dai numeri. Stimata una presenza in assemblea vicina all’80%, per procedere sull’Ops Nagel ha bisogno di almeno la metà dei voti più uno, cioè poco più del 40%; stesso ragionamento, ma invertito, per il fronte del no, considerando che l’astensione vale come una bocciatura.

Nel 2023, nell’ultima occasione in cui di fatto l’assemblea ha votato su temi divisivi, la lista del cda (guidata da Nagel) è stata votata dal 41,1% del capitale, quella di Delfin dal 32,6% e quella di Assogestioni dal 3,6%, tutti dati riparametrati sul capitale sociale di oggi. Due anni dopo non molto è cambiato. Il gruppo Caltagirone è al 10%, Delfin al 20%, verso l’astensione. Sono salite le Casse di previdenza, che si ipotizza non voteranno a favore dell’Ops: dall’1,2% ad almeno il 5%. Scelta che potrebbe fare anche qualche imprenditore appartenente al patto di consultazione (principali indiziati Gavio e Minozzi) per una quota complessiva vicina all’1%. Se così fosse, alla luce dei numeri del 2023, lo schieramento contro l’operazione Banca Generali salirebbe sopra il 37%.

Con altre incognite da sciogliere, che possono risultare decisive. Innanzitutto c’è la scelta dei Benetton, ancora indecifrabile. In secondo luogo la possibile presenza nel capitale di Unicredit.
Infine, non vanno sottovalutate le scelte di alcuni investitori istituzionali, che potrebbero divergere rispetto alle indicazioni date dai proxy.

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