Gli indicatori della fiducia dei consumatori e delle imprese rappresentano uno dei riferimenti di maggior rilevanza per il sistema socio-economico. Quando i vari indicatori coincidono esprimono componenti che possono costituire le basi per disegnare una politica industriale in grado di valorizzarli odi ridurre i rischi nel caso essi siano negativi. Purtroppo entrambi da anni stanno subendo continui cali, soprattutto quelli riferiti alle imprese che sono i più importanti perché alla base dell’occupazione e degli investimenti.
A spingere verso il basso la lancetta della fiducia dei consumatori è lo strascico dell’inflazione, completamente domata nei periodi annuali successivi al 2023 ma con un costo della vita che è rimasto gravato di quei 15 punti accumulati nei precedenti 18 mesi che, in assenza di una crescita economica di almeno un punto e mezzo o due punti di Pil, sta pesando sul potere d’acquisto e di riflesso sulla propensione alla spesa come un macigno.
Ancora più importante per la crescita economica, e indirettamente per la fiducia dei consumatori, è il dato delle imprese che da ben 8 trimestri subiscono una calo della produzione industriale. Evitare che la discesa prosegua nei prossimi mesi sarà complesso, visto il pessimo contesto internazionale, il crescente debito pubblico, gravato dai costi del 110% e da quelli della trasformazione digitale e ambientale.
Il governo dovrebbe mettere al centro della sua agenda il tema della politica industriale e commerciale, un tema snobbato da tutti i governi dagli anni Novanta in poi. La politica industriale deve basare i propri iter applicativi sul consenso delle grandi associazioni datoriali, che ne rappresentano il pilastro, e puntare ad ottenere un dichiarato appoggio delle rappresentanze, Confindustria e Confcommercio in testa. Il consenso delle quali dovrebbe favorire il recupero di un consistente impegno del capitalismo nostrano ad investire soprattutto sulla manifattura. Un’industria manifatturiera che ormai da decenni è costituita quasi solo più dalle filiere che sono stabilmente controllate dai giganti industriali esteri. Il patrimonio delle filiere dovrebbe rappresentare il pilastro della politica industriale e per poterlo essere necessita di investitori italiani nelle poche grandi imprese manifatturiere nostrane.
La progettualità della politica economica dovrebbe in primis puntare a dare consistenza patrimoniale alle grandi e medie aziende. Il piano di utilizzo delle generose risorse del Pnrr è fondamentale per dare un’accelerazione alla messa a terra delle opere. Ma per riuscire nell’intento servirà un forte coinvolgimento delle associazioni datoriali. Le quali a loro volta dovrebbero sostenere la linea della produttività in modo di riuscire ad aumentare i salari dei lavoratori, crescita vincolata però alla produttività che, a livello Italia continua ad essere inferiore a quella dei competitor comunitari, Germania e Francia, di oltre un punto percentuale. Il differenziale che persiste tra reddito e costo della vita è ancora intorno ai 9 punti percentuali in rapporto ad inizio secolo. È fondamentale ridurlo rapidamente. La ripresa dei consumi interni, necessaria per l’ascesa del Pil, deriverà in gran parte dai salari e da come sono agganciati alla produttività ovvero ai profitti delle imprese.