L’occasione era quella migliore, un convegno nel maestoso Grand Teton National Park del Wyoming davanti ai colleghi attuali ed ex:è da qui che il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha lasciato intendere che già da settembre potrebbe arrivare il taglio dei tassi americani richiesto più volte e a gran voce dal presidente Donald Trump.
Occorrerà attendere la prossima riunione della banca centrale statunitense per averne conferma, ma tanto è bastato per smuovere le acque e dare impulso al venerdì di Borsa: a Wall Street il Dow Jones ha guadagnato più di due punti percentuali, mentre Nasdaq e S&P 500 lo hanno seguito a ruota, attestandosi attorno al +1,50%. Più contenuti i guadagni di giornata sulle piazze europee, con Milano a +0,69%, Francoforte a +0,32% e Londra a +0,13%. Il dollaro ha perso terreno nei confronti dell’euro (-1,04%) e della sterlina (-0,92%). Alcuni analisti hanno già stimato per il prossimo mese un primo taglio dello 0,25% e c’è chi ne prevede un secondo entro la fine del 2025.
Il peso delle parole di Powell rimane soprattutto politico, perché accompagnato dalla previsione di un rallentamento del mercato del lavoro che riduce i timori che gli aumenti dei costi legati ai dazi diano fiato all’inflazione. Restano, ha invece sottolineato, i rischi «sotto forma di licenziamenti in forte aumento». Il riferimento è ai dati pubblicati da Bureau of Labor Statistics secondo cui sono aumentate le richieste di sussidi di disoccupazione e il 20% dei datori di lavoro ha ridotto i piani di assunzione. La disoccupazione a conti fatti è rimasta nel mese di luglio al 4,2%.
Nel suo discorso Powell, il cui mandato scadrà a maggio, ha punzecchiato indirettamente la Casa Bianca, senza affondare il colpo. Ha affermato che gli effetti delle tariffe introdotte dall’amministrazione repubblicana «sono ora chiaramente visibili» e andranno ad accumularsi nei prossimi mesi, ma al contempo gli effetti dell’aumento dei prezzi saranno di breve durata. Tra un tecnicismo e l’altro è infine giunto il passaggio più atteso: i tassi di interesse sono ad un livello che consente alla Fed di «procedere con cautela nel valutare eventuali modifiche alla nostra politica», che finora è stata di non procedere al taglio del costo del denaro. Un passaggio fondamentale: La Fed non permetterà più intenzionalmente all’inflazione di superare la soglia del 2%, nemmeno dopo periodi di bassa crescita dei prezzi: ad oggi è al 2,7%.
Applausi dalla platea e possibile tregua con Trump che nel corso dei mesi iniziali del suo secondo mandato non ha usato mezzi termini verso Powell. Ad aprile il presidente aveva espresso rammarico perché il mandato del governatore della Fed non era prossimo al termine, quindi in luglio è circolata la voce che sulla scrivania dell’Ufficio Ovale ci fosse una lettera per destituirlo, prontamente smentita, poi gli appellativi di «Too late Powell» per rimarcare come tardasse a ridurre i tassi e di testa dura (numbskull). Infine, pochi giorni fa, l’accusa che con il suo operato stia colpendo il settore immobiliare.
Su quest’ultimo punto il clima con la banca centrale resta comunque teso con il caso che coinvolge Lisa Cook, membro del Consiglio dei governatori della Fed. Cook è accusata da Bill Pulte, nominato quest’anno a capo dell’Agenzia federale per il settore abitativo, di aver indicato come residenza un immobile ad Atlanta, dopo averla messo in affitto e presentando così dei documenti falsi al governo federale. «La licenzierò se non si dimette», ha avvertito Trump perché quanto fatto dalla governatrice «è grave».
Washington intanto ha incassato un punto importante nel match doganale con il Canada che, secondo fonti raccolte dal Wall Street Journal, è pronto a rimuovere i dazi del 25% su circa la metà dei prodotti statunitensi conformi al trattato di libero scambio nordamericano e colpiti dalle nuove tariffe a marzo, quando si è acceso lo scontro: una mossa che riguarda soprattutto il settore alimentare, degli elettrodomestici e delle moto, mentre restano esclusi acciaio, alluminio e automobili. Un gesto di distensione dal governo di Mark Carney, che aveva invece escluso passi indietro: la telefonata con Trump avvenuta ieri ha riaperto i negoziati per raggiungere «il miglior accordo possibile». «C'è un tempo per ogni cosa nella partita: prima dovevamo giocare in modo fisico nel primo tempo per mandare un messaggio, ma arriva anche un momento nella partita in cui vuoi segnare», ha sostenuto Carney. Ma per ora festeggia Trump.