«La riduzione della pressione fiscale è una priorità di questo governo», ha detto il sottosegretario all’Economia Federico Freni. «Anche la prossima Legge di bilancio prevederà misure per alleggerire ulteriormente il carico che grava su cittadini e imprese» ha assicurato.
L’ipotesi è quella di concentrarsi sul ceto medio. Allo studio c’è una riduzione dell’aliquota del secondo scaglione Irpef (per i redditi compresi tra 28mila e 50mila euro lordi) dal 35 al 33%, ampilando la platea di beneficiari fino a 60mila euro. Una misura che, secondo le prime simulazioni, riguarderebbe 11 milioni di contribuenti, con un costo di 4 miliardi di euro. L’alternativa, nel caso in cui le risorse non fossero sufficienti, sarebbe di limitarsi al taglio di un punto percentuale, facendo scendere l’aliquota al 34%.
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Ma l’intervento servirà non solo a rimpinguare le buste paga del ceto medio, ma anche a riequilibrare il sistema fiscale italiano, che vede la fascia di reddito medio-alta, quella che dichiara tra i 40 mila e i 120 mila euro, sopportare oltre un terzo del gettito Irpef, pur rappresentando soltanto l’11% del totale dei contribuenti. Ma chi beneficerebbe di più del provvedimento? Secondo le simulazioni, il taglio della seconda aliquota porterebbe risparmi molto diversi in base al livello di reddito. Alcuni mesi fa la Fondazione nazionale dei commercialisti aveva fatto i conti ipotizzando sia la riduzione di un punto, da 35 a 34%, sia di due, da 35 a 33%. Secondo i calcoli, per via del cumulo di taglio del cuneo fiscale e riduzione dell’aliquota, i risparmi scatterebbero solo per le retribuzioni lorde superiori ai 35mila euro. Sotto questa cifra, infatti, per alcuni gli effetti sarebbero leggermente negativi.
Nell’ipotesi di taglio dell’aliquota di un punto percentuale (dal 35 al 34%) del secondo scaglione, in corrispondenza di una retribuzione lorda pari a 40mila euro il risparmio è di 543 euro su base annua. Mentre per chi guadagna tra i 30 e 35mila euro si registrerebbe una perdita, pari a, rispettivamente, 101 euro e 145 euro all’anno. Le dinamiche sono le stesse, sempre secondo le simulazioni dei commercialisti, nell’ipotesi di un taglio di due punti dell’aliquota (dal 35% al 33%): più 627 euro per le retribuzioni lorde pari a 40 mila euro e -101 euro e -107 euro per quelle paria 30 e 35 mila euro.
Ma, al contrario del cuneo fiscale, che ha interessato soltanto i lavoratori dipendenti, la riduzione dell’Irpef andrebbe a beneficiare pure gli autonomi e i pensionati. In questo caso i risparmi sarebbero per tutte le fasce di reddito. Per i redditi compresi tra 30 e a 35mila euro, però, si tratta di cifre molto contenute: 20 euro all’anno nel caso del taglio di un punto percentuale e 40 euro l’anno nel caso del taglio di due punti. Manco a dirlo, il nodo principale resta quello delle risorse.
Per applicare lo sconto fino ai 60mila euro servirebbero circa 4 miliardi di euro, cifra che potrebbe ridursi se l’intervento venisse limitato a quelli fino a 50mila. Senza contare che il menu della legge di bilancio continua a crescere. Soltanto per le misure fiscali, anticipate dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, servirebbero tra i 6 e i 10 miliardi di euro, a cui aggiungere 2 miliardi per la Sanità.
Come riporta il Messaggero, sul piatto, oltre al taglio dell’Irpef per la classe media, la rottamazione-quinques delle cartelle (per le quali il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, ha stimato un costo fino a 2 miliardi) e la stabilizzazione del taglio dell’Ires per le imprese che investono e assumono. Poi ci sono le spese indifferibili, i fondi necessari a “congelare” l’adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita, evitando dunque un suo aumento, quelli per la natalità, oltre ai finanziamenti per la difesa, che però non rientrano nel parametro rilevante per le regole di bilancio dell’Unione europea. Tuttavia, siccome il nuovo Patto di Stabilità non consente il ricorso al disavanzo, le nuove spese dovranno essere coperte da nuove entrate.
Nel bilancio dello Stato c’è una cassaforte da cui attingere, quando dentro ci sono dei soldi, per tagliare le tasse. In linguaggio tecnico si chiama «Fondo per l’attuazione della delega fiscale» ed è lo stesso utilizzato lo scorso anno per ridurre il carico fiscale sui lavoratori dipendenti con i redditi fino a 40mila euro e rendere strutturale il taglio da quattro atre delle aliquote Irpef.
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Il governo ha già impegnato il fondo per oltre 4 miliardi di euro l’anno per i prossimi decenni. Tuttavia, non ci sono ancora numeri precisi sull’ammontare di risorse rimaste. Ma alcuni conteggi sono possibili. Nel fondo confluiranno gli 1,6 miliardi versati dalle partite Iva che hanno aderito al concordato preventivo dello scorso anno. Altri 1,3 miliardi arriveranno dai versamenti effettuati dalle partite Iva il 31 marzo nell’ambito della sanatoria agganciata allo stesso concordato. In totale si tratta di circa 3 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti quelli del nuovo concordato e della nuova sanatoria. C’è poi un altro miliardo e duecento milioni derivante della gara del gioco del Lotto, per il quale lo Stato aveva stimato di incassare solo un miliardo e invece ne ha incassati 2,2. Poi c’è il capitolo della spesa. Grazie alla “spending review” voluta dal ministro Giorgetti, la spesa pubblica sta crescendo meno di quanto concordato con Bruxelles. A metà anno, nei conti pubblici, si sarebbe formato uno spazio di 0,2 punti di Pil di minore spesa (circa quattro miliardi). Insomma, i soldi per tagliare le tasse al ceto medio ci sono.