Qualche giorno fa il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, ha invocato un colpo di reni del Paese per spingere la crescita ed uscire dal pantano degli zero virgola di Pil. Un auspicio che non può non essere condiviso da tutti, considerato che quando l’economia viaggia ci sono più risorse per il welfare, aumentano i salari, il sistema pensionistico diventa più sostenibile e i conti pubblici tornano in ordine. Lo stesso Panetta, però, ha riconosciuto che l’Italia è in buona salute, che le imprese hanno una buona scorta di liquidità, che le promozioni delle agenzie di rating portano benefici concreti e che i dazi non metteranno in ginocchio il made in Italy.
Ottimismo mal riposto, secondo gufi e declinisti, che quando l’Istat ha certificato il Pil piatto nel terzo trimestre hanno immediatamente riavviato la litania dell’Italia che non cresce e del baratro a pochi passi. Con buona pace della narrazione iettatoria di opposizioni e sindacati, la realtà è che l’Italia negli ultimi anni se l’è cavata meglio dei suoi compagni di viaggio, e chi ha un minimo di memoria o più semplicemente sa come chiedere qualche informazione all’IA dei motori di ricerca sa che non si tratta di un fenomeno così banale.
Per capire che la scarso dinamismo dell’economia è un problema europeo bastava ascoltare le parole di Christine Lagarde durante la sua recente trasferta italiana per il consiglio direttivo della Bce ospitato dalla Banca d’Italia a Firenze. «La crescita dell’eurozona dello 0,2% nel terzo trimestre è più delle attese, non mi lamenterei troppo della crescita in questo momento», ha detto il numero uno dell’Eurotower, lasciando intendere che il contesto geopolitico è tale per cui anche i decimali sono grasso che cola.
Ebbene, l’Italia dovrebbe chiudere l’anno con un Pil tra +0,5 e +0,6%. Vi sembra poco? Di sicuro non è paragonabile alla crescita cinese (pil stimato tra il 4,5 e il 5%) o a quella che agguanterà il “terribile” Donald Trump (pil stimato tra l’1,8 e il 2,8%), ma guardandosi anche un po’ indietro, c’è veramente poco da lamentarsi. Tra i vari lockdown che si sono susseguiti nel 2020-2021, i contraccolpi negativi provocati dalla pandemia, l'impennata dell'inflazione, lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina e il caro energia, gli ultimi sei anni sono stati difficilissimi. Eppure il nostro Paese è riuscito a navigare con più successo di quasi tutti i nostri principali competitor commerciali.
Se tra il 2019 e il 2025, secondo i calcoli dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, il nostro Pil reale è aumentato del 6,4%, in Francia è salito del 5 e in Germania dello 0,2. Solo la Spagna può contare su una variazione positiva superiore alla nostra che ha raggiunto il 10%. Ma la media dei paesi dell'Area dell'Euro si è attestata al +6,2%, al di sotto del nostro risultato.
Insomma, l’Italia sfigata che non cresce ha fatto meglio delle principali economie europee. Dato da appuntare sul proprio taccuino prima di dire qualche sciocchezza.
L’altra sorpresa è di carattere interno. Ma anche in questo caso è una doccia gelata per coloro che considerano il centrodestra il grande nemico del Mezzogiorno. Il record di crescita dal 2019 spetta alla Sicilia, con +10,9%. Al secondo posto c’è la Lombardia (+9%), ma subito dopo Puglia (+8,9%), Abruzzo (+8,1%) e Campania (+7,7%). Facile, direte voi, con i fondi del Pnrr. In realtà il merito è anche delle nuova Zes unica introdotta dal governo. E poi non si diceva che l’esecutivo era incapace di spendere i fondi Ue?




