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Se perde Roma e Siciliail Pdl rischia l'estinzione

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Il Colle lavora a una nuova ammucchiata Pd-Pdl per il 2013. Ma in caso di sconfitta, le prossime amministrative sarebbero fatali al partito di Alfano

Andrea Tempestini
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Dicono i ben informati che Pd e Pdl ce la stiano mettendo tutta per confezionarsi una legge elettorale su misura. I due principali partiti presenti in parlamento pare abbiano capito che o trovano un accordo per spartirsi i seggi o dopo le elezioni del 2013 sarà il caos. Dalle urne uscirebbe una situazione ingovernabile, con il Partito democratico in maggioranza, ma ostaggio di Di Pietro e Vendola; il Popolo della Libertà ridotto ai minimi termini e l'opposizione in mano ai grillini, i quali conquisterebbero oltre un centinaio di seggi. Una situazione da far paura, che impensierirebbe perfino l'algido presidente del consiglio, il quale, come abbiamo scritto ieri e riconfermiamo oggi carte alla mano cioè con la lista che porta il suo nome, medita - per quanto l'abbia ufficialmente smentito - di  ricandidarsi per rimanere a Palazzo Chigi altri cinque anni, ma per farlo ha bisogno di una coalizione solida e non di una devastata come quella che si profila. Anche nonno Giorgio Napolitano avrebbe un diavolo per capello (e dunque pochi) per come stanno andando le cose dal punto di vista economico. E le conseguenti ricadute sull'umore  degli italiani in vista del voto lo preoccupano: sia mai che gli elettori si lascino andare alla sfiducia e votino per un comico scassa tutto. Proprio a causa di ciò si starebbe dando un gran da fare per blindare la riforma elettorale, suggerendo a Pd e Pdl di farla anche a colpi di maggioranza, senza andare troppo per il sottile con i partiti minori, i quali - secondo il Quirinale - dovrebbero rassegnarsi a rimanere fuori dalla porta, con uno sbarramento al cinque per cento e i collegi elettorali ridisegnati su misura per far vincere azzurri e democratici. Già, perché le uniche speranze di limitare i danni provengono per Partito democratico e Popolo della Libertà dalla possibilità di cambiare in corsa le regole del gioco o, se preferite, di truccarle. Ce la faranno i due principali partiti che sostengono Monti a tradurre in pratica il progetto di una grande ammucchiata per la riforma? Come dicevamo, stando ai si dice, il piano è a uno stadio avanzato e ci sono buone probabilità di riuscita. Destra e sinistra uniti per consegnare a Monti le chiavi del Paese, mettendo da parte ogni ambizione di Bersani, Berlusconi o Alfano di sedersi sulla poltrona di capo del governo. Però, fossimo nei panni dei suddetti signori, invece di preoccuparci troppo per quanto accadrà dopo il voto della primavera prossima, Monti o non Monti, ci interesseremmo un po' di più al voto delle amministrative, sfida che, se dimenticata come è solito fare il Popolo della libertà, rischia di trasformarsi in un'autentica débâclè. Ci spieghiamo. Fra otto mesi non si vota solo per cambiare il parlamento, scelta che se l'attuale premier rimane in servizio cambierebbe poco o nulla per gli italiani, ma anche per scegliere il sindaco di Roma, il presidente della Sicilia e, forse, anche quello della Lombardia. Gli elettori dovranno dunque decidere il sindaco della Capitale e i governatori di due delle più popolose regioni italiane. È chiaro a chiunque che, se dopo aver perso Milano, Napoli, Palermo, Genova, Torino, Monza, Como - per citare le più note - il centrodestra dovesse dire addio anche alla città eterna, alla regione motore del paese e alla Sicilia, per il Pdl sarebbe una specie di certificato di morte apparente. Pur in vita, perché rappresentato in parlamento, il Popolo della libertà sarebbe fuori da tutti i giochi, meno significativo perfino della Lega, alla quale per lo meno rimarrebbe la guida di Piemonte e Veneto. Per il partito fondato da Berlusconi significherebbe arretrare nella ridotta del Lazio, fatte salve regioni meno rappresentative dal punto di vista del peso politico come l'Abruzzo, la Sardegna, la Campania o la Calabria . Un po' poco per un partito che a sentire il Cavaliere aspira ancora a raggiungere il 51 per cento. Insomma, se il centrodestra non si rimbocca le maniche, se cioè non si mette a lavorare per riconquistare la Sicilia e conservare la Capitale, qui c'è il rischio di un cappotto in puro stile spagnolo. E allora sì che sarebbero dolori. Senza governo e senza città o regioni da amministrate, il Pdl potrebbe anche chiudere bottega. Dunque, se qualcuno non si sveglia tra poco passeranno i titoli di coda. di Maurizio Belpietro

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