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Spesa, tasse, sindacato:hanno rifondato il Pci

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L'ammucchiata progressista Bersani-Vendola ci riporta ai tempi di Occhetto: non potevamo permetterceli allora, figuriamoci oggi. Qualcuno ci salvi

Andrea Tempestini
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C'era un volta, e purtroppo c'è  ancora, il partito della rifondazione comunista. Ad esso però da oggi si affianca il Polo della speranza comunista, che già nell'acronimo è un ritorno al passato, in quanto il Pds fu la versione light del Pci, con la falce e martello ancora presenti nel simbolo di partito, ma opportunamente nascosti sotto la quercia dopo il crollo del muro di Berlino. Tuttavia, oltre a un nome sintetizzato che riporta a Occhetto e alla svolta della Bolognina, il Polo della speranza ha altri punti di contatto con la storia del fu partito comunista. Il primo è che a dargli vita sono due reperti archeologici che risalgono all'epoca del sol dell'avvenir, a cominciare da Pier Luigi Bersani che del Pci fu funzionario e amministratore per finire con Nichi Vendola , il quale nel Pci ci entrò con i calzoni corti esattamente 40 anni fa. Il secondo punto riguarda il programma, che riprende i vecchi temi cari al disciolto partitone rosso: più tasse, in particolare a carico di  chi nel corso di una vita è riuscito a mettere da parte qualche risparmio; più diritti, per i gay, gli immigrati e tutti gli oppressi della terra; più welfare per i pensionati, i lavoratori e anche i disoccupati; più manette per chi non si adegua al codice della sinistra e allo Stato etico. Un programma che non prevede di tagliare alcunché, tranne le norme liberali, condannandoci dunque - se non ad anni di socialismo reale - per lo meno a un socialismo venale, di cui  qualcuno alla fine dovrà  pagare il conto.  Con il nuovo Pds infatti tornerebbero i vecchi slogan, tipo il diritto al posto fisso o «lavorare tutti, lavorare meno», formule su cui sono stati costruiti il potere del sindacato e le carriere dei leader progressisti: facile no? Provate voi a guadagnare voti promettendo agli elettori che li farete lavorare di più. La verità è che, anziché guardare alle rivoluzioni sociali, al cambiamento in atto in tutto il mondo dal punto di vista economico, Bersani e Vendola continuano a guardare a una sola rivoluzione, quella rossa nel cui mito sono cresciuti. Del resto la speranza è dura a morire e, nonostante cent'anni di fallimenti, la sinistra italiana ha ancora in mente di collettivizzare la ricchezza. La sola idea che stare nell'Unione europea significhi adeguarsi al mercato, tagliare la spesa e ridare libertà all'economia, non li sfiora. Credono ancora che si possano mantenere tutti mettendo una tassa patrimoniale. Non importa che perfino uno come Vincenzo Visco, il conte Dracula del Fisco prodiano, sia dubbioso. Per Bersani e Vendola con le imposte sulle rendite finanziarie e sulle case si  risolve tutto.  Per rendersi conto di quante scorie del passato siano portatori i due basta guardare la reazione del governatore di Sinistra e libertà alla notizia del sequestro dell'Ilva, la più grande fabbrica della sua Regione e la più importante del Mezzogiorno. Invece di dolersi per il rischio di chiusura dell'impianto, Nichi quasi si spellava le mani dalla gioia. Dimenticando l'insegnamento di Bertolt Brecht («Prima la pancia piena, poi la morale»), Vendola è per la tutela dell'ambiente e della salute. Non importa che fior di professori dicano che Taranto è meno inquinata di Milano e Torino, dove pure non chiudono la città per smog.  L'importante è rispettare la regola che vuole gli imprenditori tutti brutti, sporchi e cattivi. Dove ci porterebbe il Polo della Speranza se sciaguratamente dovesse  vincere? Giudicando dai programmi, a occhio direi in malora, perché le ricette proposte sono quelle sperimentate negli ultimi cinquant'anni di centro sinistra, le quali più che al benessere ci hanno portato a un generale malessere, con un debito pubblico alle stelle e un Paese ingessato, dove spostare un fattorino  è un'impresa che - oltre   all'intervento della Gondrand - richiede un atto di speranza rivolto alla Corte costituzionale. Per cui non si capisce cosa ci sia da sperare con una compagnia di giro come quella annunciata, dove il più moderato è Stefano Fassina, il marxista-dirigista che Bersani ha messo alla guida del dipartimento economico del suo partito. Nei progetti del nuovo Pds, Vendola e l'attuale segretario Pd sarebbero il nocciolo duro del partito: dove stia la polpa intorno al nocciolo non è dato sapere, anche se per qualcuno starebbe dalle parti dell'Udc, che i due conterebbero di inglobare una volta vinte le elezioni, così da potersi liberare da quel matto di Di Pietro. Visti da lontano - mancano ancora otto mesi alle elezioni - non ci resta dunque che sperare anche noi che qualcosa risorga a destra e ci dia la possibilità di sottrarci a un destino che non vogliamo considerare ineluttabile. Insomma, se a sinistra nasce il Polo della Speranza, noi ci auguriamo che dall'altra parte si formi il partito dell'Io speriamo che me la cavo.  Se non da tutto, almeno dai due gemelli pidiessini. di Maurizio Belpietro

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