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Fini ora ricatta: occhio a quello che fate

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Il gerarchetto subacqueo snobba gli elettori: il premier lo sceglie il Colle, poi facciamo l'ammucchiata

Andrea Tempestini
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Che cosa accadrebbe domani in Francia se Jean Marie Le Pen desse lezioni di democrazia agli altri partiti, definendosi liberale e democratico? Crediamo che il minimo per il vecchio leader sarebbe essere accolto dalle pernacchie, soprattutto da parte di quei partiti che liberali e democratici lo sono sempre stati. Nonostante abbia abbassato i toni e passato il timone del partito alla figlia Marine, il vecchio pirata della destra transalpina continua infatti a rimanere poco credibile come seguace di Karl Popper e di Friedrich Von Hayek. La stessa cosa sarebbe accaduta a Gianfranco Fini se nel 1994 qualcuno non lo avesse ripulito e fatto entrare nell'arco costituzionale, da cui era escluso. Come il presidente della Camera abbia ripagato l'uomo che gli ha restituito i diritti politici è noto: appena risciacquato nell'acqua di Fiuggi l'ex leader di An ha immediatamente dimenticato i valori di lealtà cui era stato educato fin da giovane trasformandosi in un gerarchetto in carriera, pronto a sgomitare pur di ottenere una poltrona. E così anche ieri ha parlato al Paese, atteggiandosi a vero moderato (...)  (...) e liquidando il partito che fino a oggi  ha incarnato l'unica alternativa  alla sinistra come una forza  demagogica   e populista, una specie  di versione soft dell'antipolitica cavalcata da Beppe Grillo.  Dismessa la tuta da sub con cui – grazie ai soffietti della stampa cosiddetta democratica – tenta di rifarsi l'immagine dopo la brutta faccenda della scorta, Fini con l'intervista a Repubblica ha indossato i panni dello statista, delineando l'orizzonte delle prossime scelte.  Secondo lui il prossimo governo sarà politico, «perché altrimenti qualcuno dirà che tanto vale non fare più le elezioni». Ma chi guiderà il nuovo esecutivo, gli chiede l'intervistatore, Bersani? E qui viene il bello, perché l'uomo che sostiene di avere una visione liberal-democratica, non dice che a scegliere da chi farsi governare saranno gli italiani, ma se ne esce con una frase che dimostra quanto rispetto e considerazione abbia degli elettori. «Sarà il capo dello Stato a indicare il prescelto per palazzo Chigi». Capito l'antifona? Altro che primarie, come vorrebbero a sinistra. Macché indicazione del premier sulla scheda, come da almeno quindici anni sono abituati gli elettori. Il liberale Fini dice che i candidati non sono importanti, perché alla fine deciderà un signore di 87 anni al suo ultimo giro di boa, che un mese dopo aver messo in sella il nuovo presidente del Consiglio passerà la mano a un altro presidente della Repubblica.  Perché l'inquilino di Montecitorio regala tutto questo potere a Giorgio Napolitano in un momento in cui l'uomo del Colle è agli sgoccioli? La risposta è nella frase che segue: «È evidente che conterà quello che diranno le delegazioni dei partiti al Quirinale».  Poche parole in cui è concentrato tutto il pensiero democratico del gerarchetto subacqueo. Non conta la volontà degli italiani e nemmeno i programmi che verranno presentati in campagna elettorale e neppure le facce che incarnano quelle promesse. Ciò che davvero peserà nella composizione del futuro governo saranno gli accordi sottobanco che i partiti concluderanno alle spalle di chi si reca alle urne. Che il progetto politico dell'ex capo del Msi si riduca essenzialmente a questo, cioè a un disperato tentativo di salvarsi nonostante il suo partito sia destinato a essere un peso piuma nel futuro Parlamento e, senza accordo con l'Udc, neppure a conquistare un seggio alla Camera e al Senato, lo si comprende ancor meglio nella spiegazione che segue, quando cioè il presidente della Camera seppellisce il bipolarismo. «Lo dico con grande rammarico, ma proprio perché sono stato un bipolarista mi sono convinto ormai che dobbiamo archiviare un sistema che, in Italia, ha portato solo macerie». Capito? Basta con o di qui o di là, meglio tutti insieme. Scegliere destra e sinistra non ha portato bene, preferibile tanti piccoli partiti, così non si saprà mai chi ha vinto e chi ha perso, chi sta governando e chi no, come ai bei tempi dei  governi balneari e delle convergenze parallele, quando stavano tutti nella maggioranza, ma anche fuori, e in cui anche un partitino microscopico come quello fondato da Fini avrebbe la possibilità di far valere il suo inesistente peso. Lo statista con le bombole d'ossigeno sa perfettamente che se non riuscirà a ritagliarsi un ruolo, cioè a mettere insieme un'ammucchiata con il Pd, l'Udc e Vendola, altro che Futuro e libertà, per lui non ci sarà futuro ma soltanto libertà: di andare ai giardinetti. Perciò il moderato da Camera da letto è pronto a giocarsi ogni cosa e al giornalista che lo intervista consegna questo piccolo pizzino. Sulla legge elettorale «ricordo a tutti  che, nel passaggio alla Camera, ci potranno anche essere voti segreti». Un vero uomo delle istituzioni. Che in poche righe lancia un avvertimento: o confezionate una legge che salvi me e il mio partito, oppure potrei tendervi un tranello. Un autentico liberale democratico. E non si dica che il suo è un ricatto. di Maurizio Belpietro

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