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E questi del Pd vogliono governare l'Italia

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Il disastro-derivati scoperchia la voragine Mps, da sempre legato alla sinistra. È l'ennesima prova che quello della "buona amministrazione" progressista è un mito. Con Bersani al comando è il Paese a rischiare il default

Andrea Tempestini
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  Otto anni fa volevano una banca, ma l'unica che hanno avuto l'hanno quasi fatta fallire. È questa la storia del Monte dei Paschi di Siena, il grande istituto di credito rosso, uno dei più importanti d'Italia, simbolo della finanza democratica e cassaforte della città dove il partito di Pier Luigi Bersani alle ultime elezioni ha sfiorato il 40 per cento. A Siena si racconta, scherzando ma non troppo, che un terzo degli abitanti sia dipendente del Monte dei Paschi, un altro terzo pensionato di Mps, e il restante in attesa di essere assunto dalla banca. Per dire, in pratica, che a Siena non si muove foglia che Rocca Salimbeni non voglia. O meglio: che il Partito democratico non voglia. In quanto la storia del Monte è la storia del Pd. Non soltanto perché la fondazione che controllava la banca era a sua volta controllata dal comune di Siena, uno dei più rossi d'Italia, ma perché gran parte dei sindaci che si sono succeduti alla guida dell'amministrazione comunale era dipendente di Mps, in uno straordinario quanto incredibile conflitto d'interessi. In pratica, il controllore della banca era un impiegato della banca e allo stesso tempo l'istituto di credito era il più importante finanziatore del Comune-controllore, nel senso che con i soldi di Mps si pagava tutto ciò che serviva alla politica, tramite dividendi o sponsorizzazioni, a cominciare dal Palio. Un intreccio complicato anche dal fatto che, nei consigli di amministrazione del Monte, il Partito democratico infilava i suoi uomini e i suoi raccomandati. Poteva durare a lungo una gestione del genere, più preoccupata di difendere i propri affari che di fare quelli della clientela e degli azionisti? Ovvio che no. E così dalle ambizioni di Piero Fassino, il quale nei giorni della scalata a Bnl, al telefono con l'amministratore di Unipol Giovanni Consorte, si chiedeva: «Abbiamo una banca?», si è passati a: «Abbiamo un buco!». Che dimensioni abbia la voragine creata nei conti dell'istituto di credito dalle spericolate operazioni finanziarie tese a nascondere la reale situazione  di Mps non è ancora chiaro. Si snocciolano numeri da far tremare i polsi e la Borsa teme che il Monte non sia in grado di restituire i quasi 4 miliardi ricevuti in prestito dallo Stato (a proposito: ma Mario Monti prima di erogare il denaro si era informato della situazione in cui si trovava l'istituto? Da un governo tecnico, sempre attento ai conti, ci piacerebbe avere una risposta). Come è ovvio, ora tutti giocano a scaricabarile. Per primo il Pd, il quale pur essendo il partito che ha sempre nominato i vertici di Mps e dunque che porta la responsabilità politica di quanto è successo, adesso finge di non saperne nulla, lasciando sulle spalle dell'ex presidente Giuseppe Mussari ogni colpa. Ma è difficile che l'avvocato calabrese - arrivato ai vertici della fondazione a soli 39 anni per militanza politica e poi transitato alla guida di Rocca Salimbeni sempre per tessera di partito - abbia fatto tutto da solo. Chi può credere che i derivati sottoscritti con Nomura all'insaputa degli organi di vigilanza e in particolare della Banca d'Italia (a proposito, il tentativo di Giulio Tremonti di coinvolgere l'ex governatore Mario Draghi sembra più frutto di un vecchio astio che di qualcosa di concreto: il numero uno della Bce è meglio lasciarlo fuori dalle liti, che avendone noi già molte non si sente il bisogno di esportarle in Europa) siano stati firmati solo da lui? Chi può davvero pensare che le responsabilità non siano più estese e che la bancarotta della banca fondata quasi cinque secoli fa non sia il risultato di politiche clientelari e scelte spregiudicate o, peggio, improvvisate? Del resto non c'è solo Mps. Nella rossa Toscana, Regione eletta a simbolo della «eccellente amministrazione» della sinistra, esistono tanti altri buchi da tappare. E soprattutto altri disastri che smentiscono l'immagine di «buon governo» dei compagni. Sempre a Siena c'è il crac dell'Università, fiore all'occhiello dell'intellighenzia comunista e un tempo guidata dal professor Luigi Berlinguer, già ministro dell'Istruzione del governo Prodi e oggi presidente dei garanti del Pd, in pratica colui che vigila sulle candidature dei futuri parlamentari democratici. Un'indagine della Procura sta cercando di appurare come si sia creato un buco di oltre 200 milioni e sotto accusa sono finiti due rettori venuti dopo Berlinguer. Insomma, un ateneo che è rosso a partire dai bilanci. Poi c'è la voragine della sanità: 420 milioni di buco in una sola Asl, quella di Massa, con un avviso di garanzia al governatore Enrico Rossi. I dirigenti spendevano, ma nei conti ufficiali non c'era traccia dei disavanzi. Un giochetto che sembra la fotocopia di quanto è successo a Siena. Non è tutto: al crac di Massa si aggiungono i 125 milioni di disavanzo complessivo delle aziende sanitarie toscane, di cui undici alla sola Asl di Siena. Come se non bastasse, ieri è arrivato pure il commissariamento del Maggio musicale fiorentino: nei bilanci della Fondazione i revisori dei conti hanno trovato gravi irregolarità e soprattutto un buco che ha indotto il ministro Ornaghi a rimuovere il sovrintendente. Chi pagherà il conto di questo disastro che attraversa finanza, istruzione e salute? La risposta è scontata: gli italiani. Così come gli italiani saranno chiamati a coprire i buchi della buona gestione della Provincia di Milano (l'acquisto dell'autostrada Serravalle con danno erariale accertato di 80 milioni) o i pasticci della sanità in Umbria. L'elenco del buon governo della sinistra potrebbe continuare, ma crediamo che già quanto abbiamo raccontato possa bastare a smascherare il mito delle Regioni rosse e delle loro amministrazioni.  Per usare un giudizio caro ai giornali anglosassoni, dall'Economist al Financial Times, se c'era bisogno di prove per spiegare che il Pd e i suoi fratelli sono inadatti a governare, eccole. Con questi numeri, con questi conflitti di interessi e con questi risultati, per le casse pubbliche è meglio per tutti che Bersani e compagni stiano lontani da Palazzo Chigi. La bancarotta della sinistra potrebbe diventare la bancarotta del Paese. di Maurizio Belpietro  

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