Russia e Ucraina, il fallimento della Merkel schiacciata da Obama
«Je suis Charlie», i tagliagole dell'Isis e l'orrore del pilota giordano bruciato vivo. L'Europa ha appaltato la pratica «terrorismo islamico» ad Abdallah II di Giordania, uno del quale gli analisti del governo di Gerusalemme dicono che ha gli stessi nemici e usa lo stesso linguaggio degli israeliani, quello della forza (vista la fonte, difficile immaginare complimento migliore). Sperando che tanto basti se non a risolvere, almeno a contenere il problema, alla conferenza internazionale sulla sicurezza in corso a Monaco di Baviera da venerdì a oggi si sta parlando molto poco di Stato islamico e tantissimo della crisi ucraina, principale preoccupazione della Casa Bianca e delle cancellerie europee. Il presidente francese François Hollande, ieri a Tulle, l'ha spiegato in modo drammatico, con una frase che riporta a un'altra Monaco, quella degli anni Trenta: «Se non riusciamo a trovare un accordo duraturo di pace, conosciamo perfettamente lo scenario. Ha un nome, si chiama guerra». Su come impedirla, gli avversari di Vladimir Putin stanno discutendo senza trovare un accordo. È la seconda vittoria ottenuta sinora dal presidente russo. La prima è quella militare: i ribelli guidati e aiutati da Mosca hanno conquistato una consistente porzione di territorio ucraino, che hanno continuato ad ampliare anche dopo l'accordo siglato a Minsk il 5 settembre per cessare il fuoco (come dice il vicepresidente statunitense Joe Biden, «troppe volte Putin ha promesso la pace e ha portato carri armati, truppe e armi»). La seconda vittoria, appunto, è quella politica: il fronte occidentale è diviso sulla strategia da adottare e le differenze sono esplose in queste ore durante la conferenza di Monaco, con la contrapposizione, anche aspra, tra la delegazione statunitense, di cui fa parte lo stesso Biden, e i rappresentanti europei, il cui leader inevitabile (vista la perdurante assenza di una politica estera marchiata Ue) è Angela Merkel. Sorretta dai sondaggi secondo cui gli elettori tedeschi vogliono tornare quanto prima alle buone relazioni con Mosca, la cancelliera sostiene che la crisi «non può essere risolta con mezzi militari» e insiste con il dialogo, sebbene sinora questo non abbia prodotto risultati. La linea americana non contempla l'intervento militare diretto della Nato, considerato ovviamente un'ipotesi estrema e rischiosissima, ma prevede la fornitura di armi, da parte degli Stati Uniti e dei Paesi alleati, all'esercito di Kiev, come chiesto anche ieri dal presidente ucraino Petro Poroshenko. È un'ipotesi sostenuta con forza dagli oltre dodici parlamentari giunti a Monaco da Washington. Alcuni tra loro, come il senatore repubblicano del South Carolina Lindsey Graham, ex militare, sono entrati in polemica diretta con la Merkel. «Non riesce a capire in che modo armare persone che sono disposte a combattere e morire per la loro libertà possa migliorare le cose. Io invece lo capisco», ha detto Graham. Sfidata su questo terreno da Bob Corker, repubblicano del Tennessee e presidente della Commissione Affari Esteri del Senato americano, la Merkel ha risposto: «Capisco il vostro punto di vista e anche la discussione che si sta sviluppando, ma ciò che serve all'Ucraina non può essere ottenuto con più armi». Il presidente americano Barack Obama non ha ancora preso una decisione, ma il suo vice Biden si è già detto scettico sulla politica del dialogo con Putin portata avanti dalla Merkel e ieri ha ribadito che «il popolo ucraino ha il diritto di difendersi». In ogni caso la lista della spesa è già pronta: l'ha stilata nei giorni scorsi la Brookings Institution, think tank vicino al Partito democratico. In un rapporto di dodici pagine si elenca tutto ciò di cui l'esercito ucraino ha bisogno per tenere testa ai russi: postazioni radar per intercettare i missili, droni aerei, contromisure elettroniche per i droni nemici, mezzi di comunicazione criptati, veicoli militari blindati, attrezzature mediche, missili leggeri capaci di penetrare le corazze dei veicoli russi. «Di particolare utilità per i militari ucraini», avvertono gli esperti della Brookings Institution, «sarebbero le apparecchiature e le armi dei membri della Nato che hanno in dotazione attrezzature ex sovietiche compatibili con le armi dell'arsenale ucraino». Costo previsto: un miliardo di dollari l'anno da qui al 2017. Il think tank chiede a Obama e alleati di fare presto, perché «le azioni russe in Ucraina rappresentano la più grave minaccia alla sicurezza europea negli ultimi trent'anni». I paesi europei dell'ex Urss approvano la linea dura. «Dopo l'Ucraina noi saremo i prossimi», ha detto ieri la presidente lituana Dalia Grybauskaite. La spaccatura rende il fronte che si oppone a Putin debole e inefficace. Lo conferma l'esito della missione diplomatica che la Merkel e Hollande hanno compiuto a Mosca, per incontrare venerdì sera Putin al Cremlino e raggiungere un'intesa in grado di attuare il cessate il fuoco concordato a Minsk. A caldo, il portavoce della cancelliera aveva detto che il colloquio era stato costruttivo. L'illusione è durata poco: ieri, mentre Hollande evocava la guerra, a Monaco una Merkel stanca e provata smorzava ogni entusiasmo sulla trattativa: «È incerto che abbia avuto successo, ma sicuramente ne è valsa la pena». Oggi la Merkel volerà a Washington, dove domani incontrerà Obama. Putin assicura di non volere fare la guerra a nessuno, ma intanto spera che le incomprensioni tra Europa e Stati Uniti non si risolvano. Fausto Carioti