Chi sono i tre italiani feriti a Bruxelles. Scampati alla strage: "Ho detto: qui muoio"
«Non so se è stato un miracolo, o semplicemente fortuna. So solo che sono sopravvissuta e che ho riportato solo leggere ferite, mentre un paio di vagoni avanti si sono contati i morti. Il mio pensiero va ora a loro». Chiara Burla, originaria di Varallo Sesia (Vercelli) ma residente a Firenze, è una degli italiani scampati all' attentato di Bruxelles. Sulle oltre 100 persone ferite sarebbero tre, secondo quanto emerso nella serata di ieri alla Farnesina, gli italiani. «Siamo vicini ai feriti. Le istituzioni italiane sono in questo momento impegnate a verificare la situazione anche dei nostri connazionali», ha detto il premier Matteo Renzi durante una conferenza stampa dopo aver presieduto il Comitato nazionale per l' ordine e la sicurezza pubblica. Fortunatamente, come ha riferito l' ambasciatore italiano a Bruxelles, Vincenzo Grassi, «nessuno di loro, secondo le nostre informazioni, è nell' elenco dei feriti gravi». La paura, però, è stata tanta. E i segni di quanto accaduto rimarranno probabilmente scolpiti nella memoria dei sopravvissuti. «Ricordo l' esplosione, il buio, le urla», ha raccontato Chiara Burla, a Bruxelles per frequentare un workshop di danza, «adesso non vedo l' ora di tornare a casa. Mi interessa solo questo». Il suo ritorno in Italia, in realtà, era previsto per oggi. Ma adesso dopo la chiusura delle frontiere dovrà prolungare la sua trasferta. Ancora sotto choc e in lacrime quando viene raggiunto dai cronisti dell' Ansa è, invece, un altro italiano, colpito durante l' attentato all' aeroporto di Bruxelles e portato in ospedale per ferite non gravi all' orecchio e alla testa. «È stato orribile. Sono vivo per miracolo», ha detto Michele Venetico, 21 anni, italiano ma nato in Belgio da padre siciliano di Ciminna (Palermo) e madre sempre siciliana ma nata in Inghilterra. Il ragazzo lavora nello scalo della capitale belga da tre anni. Da uno era stato assegnato alla biglietteria della Swissport, colosso svizzero che opera nel settore del trasporto aereo fornendo servizi di terra e di handling. Malgrado lo spavento e la tensione Venetico non ha comunque perso la lucidità. «Abbiamo sentito prima un boato venire da lontano e non abbiamo capito cosa stesse accadendo», ha raccontato, «poco dopo c 'è stata un' esplosione tremenda all' altezza delle file 4 e 5, vicino alla biglietteria della Delta». A quel punto si è scatenato «l' inferno». I muri e parte del tetto, ha proseguito, «sono venuti giù, i vetri sono andati in frantumi. Eravamo terrorizzati. Abbiamo cominciato a urlare, piangere e ci siamo rifugiati nell' ufficio che si trova dietro alla biglietteria che è rimasto in piedi». L' esplosione è stata talmente forte, ha spiegato Venetico, «che ho visto volare via decine di bagagli e un passeggino. Intorno c' era polvere e fumo dappertutto e mentre cercavamo di scappare calpestavamo corpi a terra». Simile, almeno nell' atmosfera di terrore, il racconto di Marco Semenzato, 34 anni, padovano, da nove mesi consulente al dipartimento educazione e cultura della commissione europea. «Ho avuto paura. Ho detto: qui muoio. Poi sono corso fuori adesso sto realizzando che sono vivo», ha riferito il ragazzo ferito dalle esplosioni nella metropolitana. «Ero appena sceso dalla metro», ha detto Semenzato all' Ansa, «e avevo fatto appena due gradini della scale per uscire. Eravamo una cinquantina. Io ero davanti. All' improvviso ho sentito un boato. Ho visto un bagliore. Ho capito subito che era un attentato, ma non volevo crederci. Sono stato spinto in avanti ma non sono caduto. Penso mi abbia protetto lo zaino che avevo con me». Dentro lo zaino c' era un computer che ora non c' è più e forse gli ha salvato la vita. Semenzato se l' è cavata con delle ustioni alle mani e un po' al volto, barba e capelli sbruciacchiati. L' immagine dello scoppio è però indelebile. «Ho avuto paura e penso che non entrerò mai più in una metro, non solo qui a Bruxelles». Il problema, ha poi aggiunto, «va affrontato alla radice. Bisogna estripare questi terroristi dalla società. È il momento di fare cose concrete». Più scoraggiato Venetico, secondo cui «questi atti sono imprevedibili. Arrivano e colpiscono e fermarli è davvero difficile». Sandro Iacometti