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11 settembre, Joe Biden nel mirino dei parenti delle vittime: "Traditore", lo strano caso del segreto di stato

Carlo Nicolato
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«Venti anni dopo non c'è semplicemente alcuna ragione- immotivate richieste di sicurezza nazionale o altro - per mantenere queste informazioni segrete. Ma se il presidente Biden rinnegasse il suo impegno e si schierasse con il governo saudita, saremmo costretti a opporci pubblicamente a qualsiasi partecipazione della sua amministrazione alle cerimonie commemorative dell'11 settembre». Con queste inequivocabili parole 1.700 parenti delle vittime dell'11/9 hanno scritto pubblicamente al presidente americano di astenersi da qualsiasi commemorazione per il ventennale dell'attacco alle Torri Gemelle qualora, come sembra probabile, non declassifichi i documenti del governo Usa che dimostrerebbero il ruolo di primo piano avuto dall'Arabia Saudita nell'attacco. La questione non è nuova, i familiari delle vittime sono convinti da tempo che i sauditi abbiano avuto un ruolo diretto, come Stato, nell'attacco terroristico, e non solo come semplici esecutori impegnati a titolo individuale. Come si sa dei 19 dirottatori 15 erano di origine saudita (due degli Emirati Arabi, uno egiziano e uno libanese) e il dossier dell'Fbi in possesso del governo degli Stati Uniti redatto nel 2016 proverebbe che lo Stato saudita stesso abbia finanziato o aiutato in qualche modo almeno due di loro. 

 

OSTRUZIONISMO
La casa reale con molto tatto e discrezione ha sempre negato, così come ha evitato di commentare in questi giorni, e con lo stesso stile già nel 2018 aveva chiesto che la causa miliardaria aperta dai familiari delle vittime fosse gentilmente archiviata affinché non interferisse nelle relazioni tra i due Paesi. Al rifiuto da parte della giustizia americana era seguita due anni più tardi un'altra sentenza del tribunale di New York che ordinava al governo dell'Arabia Saudita di rendere disponibili 24 funzionari, tra cui il principe Bandar bin Sultan, ex ambasciatore negli Stati Uniti, per essere interrogati sulla loro eventuale implicazione. La chiave di volta dell'intera vicenda starebbe dunque in quei documenti secretati che l'attuale presidente Biden in tempi di campagna elettorale aveva promesso di voler rendere pubblici. Come spesso capita, anche nelle migliori democrazie, l'entusiasmo elettorale si è però alquanto affievolito con l'avvenuta elezione e i familiari delle vittime del più grave attentato terroristico mai avvenuto ai danni degli Stati Uniti rischiano ora rimanere con un pugno di mosche in mano. 

Politicamente l'idea originaria di Biden sarebbe quella di raffreddare i rapporti con l'Arabia Saudita, di tornare a un tentativo diciamo così di equidistanza di trattamento tra Riad e Teheran, ma è un'intenzione che quasi certamente rimarrà tale, del tutto velleitaria. Troppa posta in gioco, compreso gli stessi rapporti con Israele, oltre che l'intera politica in Medio Oriente. Senza considerare che l'Arabia è uno dei principali acquirenti di armi degli Usa. Nemmeno Obama ci riuscì, e anzi a questo proposito va ricordato che fu proprio lui, il presidente di cui Biden ai tempi era vice, a impedire per legge che si indagasse sulle responsabilità saudite dell'attacco. Eva altresì ricordato che fu poi il Congresso a ristabilire giustizia, introducendo la Justice Against Sponsors of Terrorism Act, o Jasta, che prevede la possibilità, per le famiglie delle vittime degli attentati dell'11/9, di fare causa ai governi stranieri per un coinvolgimento diretto. In quell'occasione il Congresso bocciò per per la prima e unica volta un veto di Obama. 

 

TIMIDEZZA
Prendendo evidentemente spunto dal suo predecessore, a febbraio scorso durante la prima telefonata tra i due, Biden ha parlato a re Salman bin Abdulaziz di diritti umani, di Yemen, di Iran, ma ha accuratamente evitato di fare cenno alla questione delle Torri Gemelle, in particolare al processo in corso e gli eventuali risarcimenti. Biden peraltro deve anche vedersela con le pressioni interne al suo partito che cominciano a farsi piuttosto clamorose. «Se il governo degli Stati Uniti è seduto su qualsiasi documento che possa implicare l'Arabia Saudita negli eventi dell'11 settembre, queste famiglie e il popolo americano hanno il diritto di saperlo», ha affermato il senatore Bob Menendez del New Jersey, presidente della Commissione Affari Esteri del Senato. Menendez è lo stesso che solo qualche settimana fa ha chiesto più di tutti che il presidente ordini sanzioni contro il principe saudita Bin Salman accusato del brutale assassinio del giornalista Kashoggi.

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