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Covid, cosa sta succedendo in Gran Bretagna: riaperture e contagi, ko tecnico per Speranza

Claudia Osmetti
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«Al di là del bollettino, qui la sensazione è che il covid stia a zero». Marta è un'italiana che da tre anni vive a Londra e che la pandemia l'ha vissuta attraverso la lente inglese. «Del virus, dei vaccini, nel Regno Unito non se ne parla mai. Quasi nessuno porta la mascherina e non da adesso. È sempre stato così, anche nei mesi passati. C'è qualcuno che la mette quando è in metro, nelle ore di punta, però un obbligo stringente come da noi non c'è mai stato». È passata una settimana da quando il premier britannico Boris Johnson ha annunciato urbi et orbi la fine di tutte le restrizioni anti-covid sull'isola di sua maestà. Via tutto: isolamento e quarantene, limitazioni e (appunto) mascherine. Il green pass, d'altronde, oltre Manica non sapevano neanche cosa fosse. «Oramai il picco dei morti è sceso clamorosamente», racconta Marta, «però già le discussioni sui morti non era la priorità prima, quando le vittime erano parecchie, figuriamoci adesso».

 

 

 

Ieri, dalle parti di Downing street, si sono registrati 45.656 nuovi contagi, in Italia 41.500. Praticamente due numeri equivalenti (i britannici sono qualche milione in meno di noi), solo che da noi il certificato verde serve ancora per andare al ristorante e prenotare un albergo e non si entra al super senza il naso coperto da una Ffp2. Le curve dei grafici inglesi sono tutte in calare, comunque nessuna schizza su come qualche mese fa: in sette giorni loro hanno contato (purtroppo) 720 vittime, di cui ieri 74; noi 185 solo nelle ultime ventiquattr' ore (e il giorno prima altre 214). Eppure, a Roma, si parla di sforbiciare sullo stato di emergenza solo a fine mese, il che significa altri ventisette giorni di misure più o meno stringenti. E, tra l'altro, con un dato aggiuntivo: perché la campagna vaccinale, in Italia, è andata pure meglio. Abbiamo l'89,39% di cittadini che il braccio ce l'han messo due volte e l'83,97% che ha optato pure la booster contro il 73,1% e il 57% degli inglesi. «I no-vax ci sono dappertutto», continua Marta, «ci sono a Londra e ci sono a Roma e ci sono anche nelle altre capitali europee. Qui, però, abbiamo sempre lavorato tutti fianco a fianco, senza chiedere al vicino di scrivania se il vaccino se l'era fatto o meno».

 

 

 

All'inizio dell'emergenza sanitaria Londra era il centro più colpito dalla pandemia del nuovo virus, poi le ondate si sono concentrate al nord del Paese. La variante Omicron che da dicembre ha scosso mezza Europa è tornata a interessare la capitale del Regno di Elisabetta (che, tra parentesi, il covid se l'è buscato pure lei): ma passata la paura (e chi la nega, quella? L'abbiamo avuta tutti e negarlo è scorretto), in Inghilterra è passata anche la psicosi. A inizio gennaio i contagi, sotto il Tower Bridge, hanno raggiunto la punta record di oltre 160mila al giorno, adesso sono in picchiata intorno ai 45mila. I pub sono aperti e non serve manco il tampone in aeroporto, una volta passato il controllo documenti. Lo stesso vale per i ricoveri in ospedale: erano quasi 20mila due mesi fa, sono circa la metà adesso. «Non dico che il green pass che abbiamo avuto in Italia sia stata una scelta sbagliata», chiosa Marta, «io posso anche essere favorevole. Ma l'esasperazione alla quale siamo giunti ha portato a una guerra tra poveri ridicola». Ecco. 

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