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Francia, a Marine Le Pen manca sempre qualcosa: ecco i suoi errori

Corrado Ocone
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Ed ora via con le fanfare. Già ce li immaginiamo i discorsi dei prossimi giorni sul buon senso di Emmanuel Macron che alla fine ha convinto i francesi, sul "sovranismo" che è stato messo nell'angolo in uno dei Paesi più importanti dell'Europa e che quindi non ha più un ha più un futuro sul Continente, sull'europeismo che ha avuto la meglio sulle pericolose derive "sovraniste" e estremistiche, sull'uomo dell'Eliseo che diventa per volere popolare la naturale guida di questa Europa che vuole mostrare il volto duro a Putin ma che poi non ha né autonomia commerciale né una politica estera e di difesa comune. La verità è che le elezioni francesi ci consegnano il volto non solo di un Paese diviso, ma anche senza rotta perché insoddisfatto, rancoroso, pauroso del futuro e anzi già del presente. E soprattutto insicuro di sé dopo aver archiviato quella velleitaria grandeur, quella sottintesa superiorità intellettuale e morale, che lo aveva sempre contraddistinto e che era il marchio di fabbrica delle sue élites.. Non è qui il caso di soffermarsi più di tanto sui disagi di una società che ha conosciuto e conosce la violenza terroristica, la persecuzione di cristiani ed ebrei, la rivolta delle banlieue e quella violenta dei gilet gialli che tanto appassionavano l'oggi macroniano Di Maio.

 

 

 

Quel che sarebbe invece opportuno fare, se solo si avesse un po' più di buonafede o onestà intellettuale, è leggere con attenzione i risultati elettorali: ci si renderebbe conto che quella di Macron non è affatto una vittoria piena, o per meglio è più una vittoria per insufficienza dell'avversario che non per adesione al suo programma. La forza di chi contesta lo stato attuale in cui è precipitata la Francia, e in genere l'Europa, è diventata esorbitante. Ed è forse pronta a tracimare e ad esprimersi in nuove forme e in nuovi soggetti politici più adeguati. Intanto, sono scomparsi dalla scena i due partiti "repubblicani" classici, quelli su cui si era giocata la dialettica politica negli anni d'oro della Quinta Repubblica: socialisti e gollisti. Poi, e soprattutto, il dato dell'astensione ha raggiunto livelli inimmaginabili nella Patria della partecipazione politica: più di un francese su quattro ha sbattuto le porte in faccia alla politica e non si è recato alle urne. Quanto al risultato finale, esso sembra la radiografia di una doppia sconfitta: quella del presidente, che è stato rieletto più per disperazione che per convinzione; e quella della Le Pen che non è riuscita in tutti questi anni a costruire un'alternativa credibile. I rapporti con Putin e, in genere, l'ambiguità delle sue posizioni sull'Europa e sui rapporti geopolitici della Francia ha fatto il resto.

 

 

 

Non si è mai capito fino in fondo se fosse per un'altra Europa o proprio contro ogni idea di Europa. Il dibattito televisivo con Macron di giovedì scorso è stato per molti versi un disastro. Certo, rispetto al 2017 lo scarto di voti con Macron si è dimezzato, ma allora c'era forte l'effetto dell'«uomo nuovo» che per il solo fatto di essere tale costituiva per i francesi una speranza a cui aggrapparsi. Dalle elezioni d'Oltralpe viene un doppio insegnamento; per la destra, anche italiana, a sentire di più il suo popolo e a non dividersi inseguendo chimere ideologiche o ripicche personali (vedi quelle di Eric Zemmour e di Marion Marechal verso la Le Pen) che dividono il fronte; per le classi dirigenti al potere ad abbandonare le enfasi fuori luogo e le ipocrisie di prassi e ad usare razionalità e onestà intellettuale nel leggere i risultati elettorali. Le esigenze dei cittadini esigono risposte, da troppo tempo inevase. Sarebbe il compito primo di una classe dirigente non evaderle, ma è proprio quel che manca oggi a Parigi, a Roma e ovviamente a Bruxelles.

 

 

 

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