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Vladimir Putin, "ecco quando si fermerà": teoria della "mutilazione", l'inidscrezione-choc ribalta il quadro

Gianluca Veneziani
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La guerra durerà almeno duecento giorni. E a decidere quando, come e se farla finire sarà Putin. Compito dell'Occidente, semmai, dovrà essere quello di continuare a rendergli la vita difficile. È la convinzione di Marco Di Liddo, responsabile analisti del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali).

Di Liddo, tentiamo un bilancio dei primi cento giorni di guerra. Sul piano militare chi vince e chi perde?
«Non possiamo dare un giudizio tranchant. I russi all'inizio della guerra puntavano a destituire Zelensky e hanno fallito, poi volevano conquistare Kharkiv e Odessa e hanno fallito. Ora l'obiettivo a portata di mano è il pieno controllo sugli oblast di Lugansk e Donetsk, sul corridoio di Mariupol e su Kherson. Si tratta del traguardo minimo che i russi si erano prefissati, ma è un premio di consolazione, un contentino. E poi, quanto a costi umani ed economici sostenuti dalla Russia, non possiamo certo parlare di vittoria. Per quanto riguarda l'Ucraina, il Paese ha resistito in modo più che egregio, e dal punto di vista politico e morale è molto unito. Ma, comunque vada, la guerra si risolverà in una vittoria mutilata per ambo le parti: la Russia rispetto alle sue ambizioni, l'Ucraina rispetto alla situazione pre-bellica».

A livello politico, quale sarebbe una vera vittoria per Mosca e quale per Kiev?
«Una volta che i russi conquistano il Donbass e mettono in sicurezza il corridoio di Mariupol, potranno consolidare le acquisizioni territoriali e far apparire questo come una vittoria a quella parte di mondo, dalla Cina all'India ai Paesi africani, che non è Occidente. L'Ucraina invece politicamente ha già vinto: ha fatto sì che la causa della resistenza diventasse un punto primario nell'agenda di Ue e Usa e grazie a questo credito proverà ad accelerare il processo di integrazione nel mondo euro-atlantico».

Una Ucraina spaccata in due è la soluzione più verosimile?
«È uno scenario concreto. Se Putin annette i territori che ha sotto controllo o sponsorizza la creazione di repubbliche autonome sotto tutela militare della Russia, diventa complicato attaccarle, perché Mosca potrebbe usare tutto il suo arsenale di deterrenza, anche nucleare, per proteggerle».

 



 

Ricacciare invece Putin oltre la linea del 24 febbraio o oltre la linea del 2014 è utopia?
«È impossibile immaginare una Russia che rinunci alla Crimea. Anche il ritorno alla linea del 24 febbraio è complicato: senza un'offensiva militare profonda è difficile togliere quei territori alla Russia. L'Europa però dovrebbe essere scaltra: pur non riconoscendo ufficialmente le repubbliche separatiste o i territori annessi, non dovrebbe rompere i rapporti con la Russia, ma impostare le relazioni su un piano più paritario, riducendo gli elementi di vulnerabilità. Non scordiamoci che la Russia è stata isolata dall'Occidente solo per un breve periodo nella storia, dopo la Rivoluzione d'Ottobre, e anche allora realtà europee come la Repubblica di Weimar continuavano a parlarci. Un isolamento totale di Mosca è impossibile».

Continuare a inviare armi a Kiev ha ancora un senso?
«Se non avessimo inviato quelle armi, oggi parleremmo di un'altra storia. Probabilmente lei mi avrebbe fatto una domanda del tipo "Sono passati due mesi dalla capitolazione di Kiev, come funziona la nuova Ucraina del presidente Medvedchuk, vicino a Mosca?"».

Oggi è l'anniversario del D-Day. In Ucraina non ci sarà un D-Day, con l'intervento di eserciti occidentali sul campo?
«Vedendo i fattori di crisi e l'evoluzione del conflitto, non escludo a priori che possa ancora estendersi a livello internazionale».

L'Occidente dovrebbe indurre Kiev a negoziare e accettare la rinuncia a pezzi di territorio?
«Questo dipende solo dagli ucraini. Sono loro che stanno combattendo. Non possiamo dire loro "Rinunciate a pezzi del vostro territorio in cambio della pace". Semmai, in un futuro negoziato, qualora Kiev fosse costretta ad accettare una decurtazione del proprio territorio, uno dei possibili contrappesi potrebbe essere un processo facilitato di ingresso nell'Ue».

 



 

Si arriverà a una mini-Yalta alla fine della guerra?
«Questo è ciò che vuole Putin, una nuova Yalta, che ridefinisca gli equilibri di potenza in Europa e nel mondo.
Ma a Yalta i leader si sedettero di comune accordo attorno a un tavolo. Ora, siccome le visioni politiche sono diverse, più che un trattato, potrebbe esserci una situazione de facto molto fluida, in cui persisteranno continui focolai di conflittualità».

Gli Usa hanno bocciato il piano di pace dell'Italia, già respinto dalla Russia. Era scritto da dilettanti, come dice Mosca?
«Non so chi l'abbia scritto né l'ho letto nel dettaglio. A me sorprende il fatto che non ci sia stata comunicazione adeguata tra l'ufficio del primo ministro e l'ufficio del ministro degli Esteri. La percezione in Italia e all'estero è che per il piano di pace non ci sia stato un confronto tra Draghi e Di Maio».

Su Libero abbiamo raccontato come la guerra abbia stufato tutti. Questa disaffezione porterà l'opinione pubblica occidentale a essere sempre meno tollerante agli effetti delle sanzioni?
«Il rischio c'è, la Russia lo sa. Parte della sua strategia è scommettere sul fatto che l'opinione pubblica occidentale normalizzerà la guerra, facendola diventare una cosa quotidiana cui abituarsi». Insomma, gli europei avranno sempre più a cuore i condizionatori e non la pace? «Il rischio è che gli europei si facciano i conti in tasca e pensino che Kiev non val bene una messa».

Tra 100 giorni parleremo di una guerra ormai finita?
«Tutto dipende dal punto che i russi decidono di individuare come stop. In questo momento Putin ha il coltello dalla parte del manico, sarà lui a decidere quando fermarsi. Il presidente russo cercherà di raggiungere i suddetti obiettivi minimi ed è disposto a qualsiasi cosa pur di prenderli. Ma la durata della guerra dipenderà anche da noi: se noi decidiamo che l'Ucraina non ci interessa più, Putin potrà farsi ingolosire e puntare a obiettivi più grandi come Kiev. A quel punto la guerra durerà molto di più. In ogni caso credo che il conflitto possa diventare, almeno, una guerra dei Duecento Giorni». 

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