Cerca
Cerca
+

Susan Baaghil, la prima araba fotografa per professione

Michele Focarete
  • a
  • a
  • a

Tour italiano per una grande dell'immagine. La prima fotografa professionista saudita, Susan Baaghil. Con 160 premi ottenuti in 30 anni di carriera e fondatrice del primo studio fotografico femminile in Arabia Saudita. «Molte donne nel mio Paese», dice sorridendo Baaghil, «si facevano ritrarre più volentieri da una femmina e io, dopo la laurea conseguita a Miami, ho voluto trasformare il mio hobby per la fotografia in professione anche per loro. Per immortalarle nei diversi momenti della vita e per dare un esempio: anche qui si può diventare qualcuno». Susan Baaghil è stata a Roma e in Sardegna per scattare foto, incontrare amici e ricevere attestati. Tanti. E non è la prima volta.


«Sono già sei volte che vengo nella vostra Capitale. La trovo stupenda, come del resto tutta l'Italia che adoro. Mi piace la vostra cultura, la vostra lingua, il vostro modo di essere, la vostra cucina. La prima volta che sono venuta era nel 2007 per esporre i miei lavori e sono stata insignita dall'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del titolo di Cavaliere. Quella è stata la prima volta che un'onorificenza di un governo straniero sia stata assegnata a un artista arabo». Ma lei è anche la prima fotografa che ha fatto scatti alla Grande Moschea Sacra Mecca in elicottero. Ed era con il custode delle Due Sacre Moschee, Abdullah bin Abdulaziz, sesto re dell'Arabia Saudita salito al trono nel 2005, durante la sua storica visita in Italia e in Vaticano, nella delegazione civile per rappresentare il Regno e trasmettere l'immagine della sua società. E chi più ne ha più ne metta: Il ministero saudita dell'Informazione e della Cultura l'ha premiata come pioniera nella fotografia. «Mi piace ricordare», sottolinea Baaghil, «quando sono stata in giuria al carnevale di Venezia nel 2019. Che città Venezia, bellissima e unica».


Complice il tepore di una serata avvolta dal Ponentino, Susan Baaghil conversa volentieri con noi, mettendo anche i puntini sulla figura del giornalista che «deve far vedere la realtà e deve essere onesto nel presentare gli avvenimenti». Baaghil, dall'anno scorso vedova, madre di quattro figli di cui uno scomparso nel 2018, parla correttamente quattro lingue, ma le piace sottolineare che ne conosce cinque: «Quella della fotografia. L'immagine non ha bisogno di traduzioni. Entra nel cuore e nell'anima delle persone. La foto è la lingua del futuro che può mostrare al mondo come ci si veste, cosa si mangia. Miseria, sofferenza. Uno scatto, un attimo di un momento che non torna». Il discorso scivola poi inevitabilmente sulla condizione della donna in Arabia Saudita e su alcuni obblighi imposti. «Adesso le donne», spiega Baaghil, «godono di molte più libertà di una volta. Vogliono essere come me e in questo desiderio di riscatto vengono spesso aiutate dai propri mariti che credono nel talento e nell'arte. Io sono un esempio positivo, perché attraverso le immagini posso fare del bene».


Ma come si veste una donna araba? «In modo essenziale. Da noi indossare il tradizionale "abaya", l'abito nero che copre dalle testa ai piedi, non è più obbligatorio. È richiesto solo di vestire in modo pudico e rispettoso e quindi sta a noi donne scegliere come farlo. Io mi copro come la Madonna, e mi sento tanto donna, perché i miei abiti preservano la mia bellezza. Non è una scelta dell'uomo, ma solo mia. Del resto, io non critico una giapponese perché indossa il kimono o un pellerossa perché porta le penne in testa. $ una questione di cultura e ogni popolo ha la sua cultura in un continuo incontro e conoscenza l'uno dell'altro e quindi di rispetto». Anche sull'arte della cucina Baaghil ha le idee chiare. «Vuole sapere quali sono i miei piatti italiani preferiti? Non si può dire in due parole, ci vorrebbe un libro. Dalle lasagne ai tortellini, agli arrosti. Per non parlare dei Baci di cioccolato e del panettone». E la invitiamo ad esprimere un desiderio. «Se avessi la bacchetta magica, obbligherei il mondo a vivere in pace. Basta guerre. Basta bambini uccisi o storpiati dalle bombe e basta madri disperate. Sarebbe davvero bello». 

Dai blog