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Cina, "golpe contro Xi Jinping in corso"? Cosa può esserci dietro davvero

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Marco Respinti
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La notizia è clamorosa. Xi Jinping, l'uomo solo al governo della Cina neo-post-nazional-comunista, è stato abbattuto da un golpe militare ordito, secondo alcune voci, dall'ex presidente Hu Jintao e dall'ex primo ministro Wen Jiabao dall'Ufficio centrale di sicurezza del Partito Comunista Cinese (PCC), proprio quello che avrebbe dovuto garantire l'incolumità di Xi. Il silenzio totale degli alti vertici cinesi ne sarebbe la conferma importante. E però la notizia non è questa. La notizia vera è che questa notizia, falsa, circoli insistentemente da quando il sito cinese d'informazione New Highland Vision l'ha lanciata il 22 settembre via Twitter. Non solo perché le smentite sono notizie date due volte, ma perché, nel mondo della post-verità in cui non contano più i fatti separati dalle opinioni, bensì le opinioni senza nemmeno l'ombra di un fatterello, una non-notizia ripetutamente smentita agisce come una falsa verità più volte acclarata. Si chiama strategia, e le scatole cinesi, vuote di tutto il resto, ne traboccano.

DOPO SAMARCANDA
Tutto nasce dal fatto che Xi mancherebbe dalla scena da dopo il vertice, svoltosi il 15 e il 16 settembre a Samarcanda, in Uzbekistan, dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, una concertazione di sapore eurasista in cui dal 2001 la Russia incontra la Cina coinvolgendo partner ai ferri corti quali Pakistan e India, più Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, con Afghanistan, Bielorussia e Mongolia che fanno da osservatori esterni. Da questo consesso dove la democrazia certo non abbonda, Xi sarebbe insomma uscito malconcio, ovvero più malconcio di come ci sia entrato.

Perché sul PCC pesano plumbee da due anni le nubi di Covid, genocidio degli uiguri riconosciuto dal Dipartimento di Stato americano e alcuni parlamenti del mondo, predazione documentata di organi per il mercato nero dei trapianti, insostenibile pesantezza del dossier Tibet, repressione dei mongoli, accanimento carognesco su oppositori e gruppi religiosi, cruenta pantomima a Hong Kong e minacce a Taiwan come mai prima. Più la notoria sorveglianza informatica ubiqua, hacker e troll, spionaggi, compravendite di dati sensibili, commerci sleali, neo-colonizzazioni di mezza Africa e pure mezza Europa, collusione con regimi pesanti tipo Venezuela e con tagliagole come i jihadisti finanziati dal Pakistan.

Le reazioni sempre più sopra le righe della stampa lacchè di regime e delle ambasciate per cercare di negare persino che il Sole sorga al mattino rivelano la grande debolezza di Pechino, ma questo ha pure il potere di produrre risentimenti dentro il partito. E così forse il falso golpe è un messaggio mandato a nuora mondiale affinché suocera Xi intenda. Xi sembra infatti avere scordato la lezione del caro vecchio Lenin, un passo indietro per compierne due avanti, e procede solo in quarta. Solo che così il motore della macchina cinese si usura, la carrozzeria si ammacca alle sbandate e l'alta velocità attira multe.

LA RESA DEI CONTI
L'ora X potrebbe quindi scattare al prossimo congresso quinquennale del PCC, il XX dalla fondazione nel 1921, del 16 ottobre. Xi si gioca il terzo mandato, record totale. Come riferito da China Central Television, la massima emittente televisiva del Paese, di Stato, «ogni unità elettorale in tutto il Paese ha convocato un congresso o una riunione del partito eleggendo 2.296 delegati». Ora, questo esercito di mezzemaniche di partito comprende anche donne, minoranze etniche ed esperti a vario titolo anche economici: gente cioè potenzialmente critica della gestione Xi. E visto che toccherà determinare la composizione dell'Ufficio politico del Comitato centrale del PCC, cioè quel Politburo di una ventina di ideocrati che controlla il PCC, il quale controlla lo Stato, il quale controlla il Paese, il XX Congresso sarà un referendum pro o contro Xi.

Sì, c'è chi dice che la bugia del golpe l'abbiano messa in giro il Falun Gong, il movimento religioso decimato da una persecuzione raccapricciante che va avanti dal 1995 (gente fatta a pezzi e disseminata nelle cliniche per trapianti) o l'India che dal 1959 ospita il governo in esilio del Tibet, e il Dalai Lama, per seminare la confusione, ma non ci sono prove. C'è invece un fatto, messo bene in luce da Jennifer Zeng, l'attivista e scrittrice cinese nata nel Sichuan nel 1966 e riparata in Australia, nel suo seguitissimo programma Inconvenient Truths su YouTube. Mentre la bufala del golpe andava in onda, Xi ha fatto arrestare 6 alti ufficiali dell'esercito, di cui tre li ha condannati a morte. Ruoterebbero attorno all'ex vicepresidente cinese Zeng Qinghong, notoriamente legato all'ex presidente Jiang Zemin e altrettanto notoriamente avversario di Xi Jinping. Il falso golpe potrebbe allora averlo messo in scena lo stesso Xi per avere facilmente la testa degli avversari e imporre ancora di più se stesso al XX Congresso oramai alle porte. 

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