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Ucraina, la lettera sulla neutralità: il Pontefice e la verità sulle armi

Papa Francesco

Iuri Maria Prado
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La lettera del Papa al popolo ucraino è importante per tanti motivi, ma per tre innanzitutto. Il primo, banale: è la lettera di un capo di Stato, vertice della Chiesa cattolica e riferimento per una enorme comunità di fedeli. Il secondo motivo è che il Papa, in questa sua lettera, parla di armi e dell'uso che ne stanno facendo gli ucraini: riconoscendo che essi le stanno usando per difendersi da un'aggressione ingiusta.

 


E il terzo motivo è che il Papa si duole sì di quell'uso delle armi: ma non per condannarlo, bensì per la constatazione che gli ucraini sono stati costretti a farvi ricorso. Testualmente: «Penso poi a voi, giovani, che per difendere coraggiosamente la patria avete dovuto mettere mano alle armi anziché ai sogni che avevate coltivato per il futuro». Il pacifista abituato a fare appello, spesso distorcendolo, al monito papale, questa volta pare distratto.

 

 

È rimasto insensibile davanti al doppio rilievo di quelle parole. E cioè che non solo l'uso delle armi non può essere oggetto di un ripudio indiscriminato, appunto quando serve a proteggere gli inermi da un'aggressione mortale (e questa non è neppure una novità, visto che in pregressi documenti di provenienza cattolica quel principio era già affermato): inoltre, ed è il rilievo più implicante, il Papa dice che in questo caso le armi sono state imbracciate perché gli aggrediti hanno "dovuto" farlo, obbligati dalla violenza che ha impedito loro di vivere in pace e in libertà. Un obbligo opposto a quello vagheggiato in campo pacifista, e che invocava semmai il dovere morale della resa.

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